A Nereo Alfieri,
il solo Maestro cui mi leghi
un debito di riconoscenza
Storici e Archeologi: parenti diversi
Il dibattito sull’interazione tra fonti scritte e fonti archeologiche è stato ed è tuttora caratterizzato da interventi autorevoli, con ricorrenti inviti a considerare le une e le altre come le diverse facce di una realtà storica unitaria. Nelle Marche, forse soprattutto quelle centro-meridionali, a rendere particolarmente complessa tale interazione è il netto divario quantitativo tra le due tipologie di fonti attualmente disponibili, da ricondurre senz’altro alla diversa fortuna toccata, da un lato, alla storia medievale e, dall’altro, all’archeologia medievale.
L’abbondanza di fonti scritte edite o stipate negli archivi marchigiani ha favorito la crescita di una cospicua bibliografia storica, alla quale hanno contribuito tanto professionisti quanto cultori di storia locale (talora con eccellenti risultati). Pur non essendo questa l’occasione più adatta a sviluppare una disamina dettagliata della storiografia marchigiana, è tuttavia necessario ripercorrere, tra i vari momenti che ne hanno caratterizzato il cammino, quelli contraddistinti dall’attenzione verso temi che più di altri richiederebbero un confronto con il dato archeologico e che invece l’archeologia è ancora lungi dall’aver affrontato in modo esaustivo.
Agli inizi del Novecento ci fu una prima intensa stagione durante la quale emersero alcune figure, tra le quali un posto di rilievo spetta naturalmente a Gino Luzzatto, che tra il 1902 e il 1911 firmò una serie di lavori incentrati su vari temi di ambito marchigiano, tra cui i rapporti tra città e contado quali essi emergevano dai più antichi libri consiliari di Fabriano, il feudalesimo, le disposizioni statutarie di Matelica ed Esanatoglia, l’economia dei Comuni marchigiani, il rapporto tra rustici e i signori a Fabriano alla fine del XII secolo, le finanze del castello di Matelica nel Duecento e altri ancora, oltre a una quantità di annotazioni e recensioni a vari scritti, tra cui quelli di Bernardino Feliciangeli. Luzzatto, assieme ad altri studiosi, partecipò al dibattito sull’origine dei comuni rurali, nel quale si inserì anche Ludovico Zdekauer, sia pure con un ruolo che è stato ben puntualizzato di recente. Le ricerche di Luzzatto, peraltro, presero in considerazione alcuni aspetti della normativa statutaria e dell’insediamento urbano e rurale che più tardi attirarono l’interesse di altri studiosi.
Proprio gli studi sull’insediamento rurale e, più in generale, di storia agraria ebbero in tutte le Marche una notevole fortuna nei due decenni tra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento, grazie all’intensa attività di vari ricercatori, tra cui Sergio Anselmi, Bruno Andreolli, Elisabetta Archetti, Ettore Baldetti, Viviana Bonazzoli, Giovanni Cherubini, Sabina Chierici, Anna Fiecconi, Vito Fumagalli, Massimo Montanari, Renzo Paci, Giacinto Pagnani, Gianfranco Pasquali ed Emma Taurino. Un punto di riferimento essenziale è costituito dalla figura di Emilia Saracco Previdi, per i suoi studi su istituzioni e aristocrazie tra età longobarda e periodo carolingio, sulla genesi di alcuni comuni e sulle strutture dell’insediamento rurale alto medievali nella vasta area compresa tra l’Ascolano e il Camerte. L’ultimo argomento ha strette connessioni con uno degli obbiettivi principali della ricerca archeologica nelle Marche e cioè quello delle modalità attraverso le quali si attuarono i processi di trasformazione dell’insediamento rurale durante e dopo la tarda età romana, fino al pieno Medioevo. Emilia Previdi esaminò il problema attraverso lo studio delle fonti testuali alto medievali, costituite principalmente dal ricchissimo fondo dell’Abbazia di Farfa, e di quelle più tarde, prendendo nota dei mutamenti lessicali riferibili alle forme insediative, come fundus, casale, villa, vicus, casarini, mansus. Sulla scia dei lavori di Emilia Previdi si pongono gli apporti, anche importanti, offerti da altri studiosi che si sono occupati dell’alto medioevo marchigiano tra maceratese e fermano. Tra di essi prima di tutti Delio Pacini, che ha dedicato molta attenzione alla formazione ed espansione del patrimonio fondiario di Farfa nelle valli dei fiumi Chienti, Potenza, Tenna e Aso, nonché alle vicende storiche del Fermano tra alto e pieno medioevo. Oltre a ciò Pacini ha il merito di aver collaborato insieme a Giuseppe Avarucci e Ugo Paoli all’edizione del Liber Iurium dell’episcopato e della città di Fermo, una corposa raccolta di documenti fondamentali per lo studio del Medioevo marchigiano al pari di altri corpora tra i quali mi limito qui a ricordare gli otto volumi finora usciti delle Carte dell’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra. Proprio il Liber, noto anche con il nome di Codice 1030, contiene una carta risalente al 977, fondamentale per l’analisi degli assetti del popolamento rurale all’interno di un’ampia area montana a cavallo delle alte valli del Tenna e dell’Aso e del ruolo giocato dalle aristocrazie di origine Franca nei rapporti con i poteri forti della città di Fermo. Allo studio di tali vicende hanno inoltre concorso sia le indagini di altri ricercatori, sia i convegni organizzati dal Centro di Studi Storici Maceratesi e dalla Deputazione di Storia Patria per le Marche.
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