Il 21 settembre 1897 una forte scossa di terremoto, passato un po’ in sordina fra gli storici perché meno catastrofico di altri eventi, segnava l’inizio di gravi problemi economici e sociali nella città di Senigallia.
La serie di disagi si protrasse nei mesi successivi e culminò nel 1898 «Verso la seconda metà di gennaio [con] alcune giornate piuttosto turbolente: scioperi e comizi perché il prezzo del pane venne portato da 30 ct. a 40 ct. il Kg».
Riguardo al terremoto, Adolfo Cancani, noto sismologo dell’epoca, informava così i lettori del «Bollettino della Società Sismologica Italiana»: «Battevano in Italia le 14 ore, quando un urto intenso, danneggiando i dintorni di Jesi e di Sinigallia e spaventandone le popolazioni, scuoteva la costa italiana da Termoli a Venezia, e quella austriaca da Sebenico a Trieste, irraggiando poi le lente ondulazioni fin verso la estrema Germania a Nord e fino in Sicilia a Sud […] questa zona di sensibile scuotimento può venir rappresentata da una ellisse di 600 chilometri d’asse maggiore, e 500 d’asse minore, vale a dire da una superficie di 236.500 chilometri quadrati. L’area poi, nella quale i moderni apparecchi sismici più delicati rivelarono le lente ondulazioni del terreno, ebbe un asse maggiore non inferiore ai 1.700 chilometri, ed uno minore non inferiore ai 1.400, vale a dire una superficie di circa 1.800.000 chilometri quadrati […].
Secondo Cancani, l’epicentro «si presume trovarsi in mare a 20 chilometri dalla costa tra Fano e Sinigallia.» Mario Baratta confermava: «Con ogni probabilità l’epicentro trovasi a mare a pochi chilometri dalla costa di Sinigallia».
Nella città di Senigallia, considerata area epicentrale, Cancani valutò l’intensità della scossa tra “fortissima” e “rovinosa”, per cui assegnò il grado 7½ della scala Mercalli, scala che proprio in quell’anno era stata proposta dal grande vulcanologo e sismologo italiano come «un perfezionamento dell’altra De Rossi-Forel».
Una descrizione più dettagliata dei danni a Senigallia, redatta in base alle relazioni pervenutegli dai corrispondenti locali citati nelle note del suo articolo, viene da Mario Baratta: Sul terremoto di Sinigallia del 21 settembre 1897, scritto per il Resoconto dell’Adunanza Estiva tenuta dalla Società Geologica Italiana in Perugia nel settembre 1897.
«Da gran tempo un terremoto di tale intensità non era stato inteso in Sinigallia: oltre al panico grandissimo che ha fatto nascere, possiamo dire che non vi fu fabbricato, il quale non sia stato in modo più o meno sensibile lesionato: caddero infatti molti comignoli, molte tegole ed alcuni soffitti; si ebbero travature spostate, un gran numero di lesioni e di scrostature nei muri e nelle volte. Nella chiesa di S. Martino precipitò una porzione di campanile, a Porta Lambertina un ornato di pietra di oltre 100 kg di peso, a Porta Mazzini la torricella dell’orologio, in piazza del Duca un cornicione di 8 metri di lunghezza; inoltre una casa fu quasi rovinata ed altre due ebbero bisogno di immediate riparazioni per evitare possibili pericoli».
Ai danni descritti da Baratta possiamo aggiungere il danneggiamento piuttosto lieve del campanile del palazzo comunale di Senigallia, in cui fu necessario «rimuovere e ricollocare l’ultima balaustra» ed «eseguire le dovute riparazioni alla parte mossa del cornicione sottostante», per una spesa preventivata di L. 1.529; fessurazioni e piccole crepe anche alle pareti e al soffitto dell’ufficio del Sindaco, per un importo di L. 700 circa. Riportò danni pure la Rocca Roveresca, in quegli anni utilizzata come carcere. Risulta infatti da recenti studi sul restauro dello storico edificio, che la Rocca fu danneggiata sia dal terremoto del 1897 sia da quello del 1930.
[segue]