In una collettività colpita da un evento catastrofico, le variabili spazio e tempo, subiscono una repentina e profonda alterazione. La trasformazione della morfologia dei luoghi e degli spazi e la dilatazione delle attese, generata dalla permanenza delle popolazioni in un costante contesto emergenziale, determinano la perdita dei tradizionali punti di riferimento (le relazioni di prossimità, il vicinato, la mobilità, l’uso degli spazi) e l’insorgere di sentimenti di smarrimento e confusione.
Inoltre, se più volte è stato investigato il ruolo delle catastrofi come acceleratori delle trasformazioni sociali per il loro impatto sulla struttura fisica, materiale e organizzativa del gruppo sociale colpito e su quella economica, poiché molto spesso ne intacca la struttura produttiva; una delle dimensioni fondamentali da approfondire per valutarne gli esiti nel breve, medio e lungo periodo è rappresentata dagli effetti sulle relazioni di prossimità all’interno delle comunità coinvolte.
Tra l’agosto e l’ottobre del 2016 il Centro Italia è stato sconvolto da quella poi divenuta più nota come “Sequenza sismica di Amatrice, Norcia e Visso” che ha duramente colpito, con differenti livelli di distruzione, quattro regioni: il Lazio, le Marche, l’Umbria e l’Abruzzo.
Interi paesi, piccole cittadine, borghi montani delle Aree interne sono andati completamente distrutti. I centri storici di molti tra i Borghi più belli d’Italia dell’Appennino marchigiano sono ormai da due anni inaccessibili: transennati, trasformati per ordinanza in “Zone Rosse”. Sono molte le diciture, le sigle e gli acronimi e i riconoscimenti che già a partire da prima del sisma tentavano di tracciare strategie di sviluppo per le aree montane soggette all’abbandono; ora, in seguito alle numerose scosse che hanno distrutto gran parte del patrimonio storico-artistico di questi territori, il vocabolario degli acronimi si è arricchito di ulteriori sigle sorte per mimetizzare una burocrazia difensiva che cela la difficoltà da parte degli attori pubblici di prendersi la responsabilità di porre il punto finale al processo di fragilizzazione territoriale e sociale iniziato alcuni anni fa, soprattutto nelle zone più interne e meno industrializzate, caratterizzate dalla presenza di piccoli paesi sparsi, dove mantenere i servizi pubblici di base rappresentava per lo Stato centrale un onere maggiore già prima del sisma. Il terremoto ha agito come un catalizzatore nel processo di abbandono dei piccoli borghi, aggravando l’emorragia di popolazione (molto spesso quella più performante sotto il profilo socio-economico e anagrafico) verso i centri urbani più vivaci o verso la costa.
Riscrivere la propria esistenza, dopo una calamità naturale che in un’istante cancella biografie e patrimoni, chiama in causa la struttura sociale del nostro Paese, la tenuta del sistema di welfare, e chiede di osservare la reazione individuale, la tenuta delle comunità e dei territori con la lente interpretativa della letteratura delle disuguaglianze in un’ottica multidimensionale.
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