Monteleone: una comunità rurale nella Marca di Fermo

Non è agevole ricostruire modi e tempi attraverso i quali ha preso forma la comunità di Monteleone (Mons Leonum o Mons Leonis, nei documenti antichi; oggi Monteleone di Fermo), perché fino alla seconda metà del Cinquecento mancano documenti diretti.

Ci sono tuttavia alcuni punti fermi, che aiutano a delineare strategie insediative e organizzazione politico-amministrativa messe in atto tra Alto e Basso Medioevo nel territorio di otto chilometri quadrati che corrisponde all’attuale comune. Anzitutto nel 936 è documentata la corte di San Maroto (o San Marone), «grande e molto estesa», di sedicimila moggi, donata all’abbazia di Farfa da un duca longobardo di Spoleto, forse Faroaldo II, nel secolo ottavo. La corte comprende buona parte dell’attuale territorio comunale. Si estende verso Monsampietro Morico fino al torrente Lubrìco; l’Ete Vivo fa da confine con le corti di Santa Maria in Muris (Belmonte Piceno) e di Santa Maria in Strada, identificabile in Curetta di Servigliano, con le contrade Valle Marana (o di Marano), nella quale è il centro demico rurale di Santa Lucia (in vico Sancte Lucie), e di Siciniano, pregiata per gli ulivi, verso Santa Vittoria in Matenano. Nel centro amministrativo della corte è la chiesa di San Maroto (San Marone), che ha cura d’anime.

Nel secolo successivo, l’XI, il territorio, al pari delle realtà della Marca dai caratteri geomorfologici simili, «di mezza costa o di collina», non lontane «da torrenti o fiumi», vive una forte fase insediativa. «La struttura collinare della zona, con le sue molte vallate e con la segmentazione […] per fossati e torrenti», favorisce la nascita di piccoli insediamenti rurali fortificati.

Movimenti economici e demografici di livello europeo, la situazione che si crea nelle terre farfensi, dove nel secolo XII lo smembramento delle proprietà dell’abbazia assume caratteri irreversibili – con la drastica riduzione del suo ruolo politico – e la contemporanea spinta espansionistica dei vescovi, favoriscono «una frammentazione territoriale con la formazione di nuove circoscrizioni» che sono percepite «nella loro reale consistenza e strutturazione non soltanto geografica» e che «esercitano funzioni di natura pubblica anche a carattere fiscale».

È questo il contesto del territorio di Monteleone agli inizi del secolo XI. Nel 1019 si ha notizia del castello di Torricella (o Torrita) in prossimità del torrente Lubrìco, verso il confine con Montelparo e con Sant’Elpidio Morico, donato all’abbazia di Farfa da Tedmario di Gisone insieme ad altri beni compresi tra lo stesso Lubrìco e l’Ete Vivo, e che tal Ingelramo sottrae ai monaci.

Lo stesso anno sono documentati Catigliano, con la chiesa di San Martino, anch’esso confinante con Montelparo, la chiesa di Santa Maria in Paganeco (Paganico), sul versante che guarda Servigliano e Belmonte Piceno, e il castello de Leoni, sul rilievo che domina la corte di San Marone, alla quale si è probabilmente sostituito in funzione di presidio amministrativo e militare del territorio di pertinenza.

Si ha notizia nel 1050, 1099 e 1118 del castello di Càsoli, con annessa chiesa di Santa Maria eretta sul sito di un precedente luogo di culto (in ara antiqua, castello de ara antiqua); nelle vicinanze è il castello di Colle o Monte Leguni (Legoni).

Nel secolo XII l’area è ancora sotto il controllo dell’abbazia di Farfa. L’imponente torre ad esagono irregolare di Càsoli è attestata nel 1118, quando a capo dell’abbazia è Berardo III, impegnato ad attuare «una politica mirata a controllare […] insediamenti fortificati dislocati in punti strategici». Lo stesso abate nel 1113 dà in enfiteusi ad Alberto di Azzolino terre di Colle Legoni; nel 1192 abitanti di Torre Càsoli versano canoni all’abbazia.

Quando, negli anni del pontificato di Alessandro III (1159-1181), Farfa ritorna all’obbedienza del papa, il destino del suo potere temporale è segnato: «i suoi feudi vengono progressivamente assorbiti dallo Stato pontificio, il governo abbaziale è esautorato e controllato da amministratori apostolici». «Nel diploma di conferma dei beni all’abbazia sabina» redatto nel 1198, dove pure «molte delle proprietà hanno un valore puramente formale, perché in realtà erano state cedute a laici e ad ecclesiastici che le amministravano come proprie», nessun castello o chiesa dell’attuale territorio di Monteleone risulta anche solo formalmente di pertinenza farfense. Nei primi anni del secolo XIII tutta la proprietà appartiene ormai a milites, domini loci, signori laici.

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