Marco Moroni, Recanati in età moderna, Andrea Livi ed., Fermo 2019, pp. 480, € 25.00, isbn 998879694414

Non deve fare velo il «natìo borgo selvaggio» del sommo Giacomo. Recanati, acquisito il titolo di città nel 1242, tra secolo XV e fine XVIII, nel dipanarsi dell’età moderna, che si apre sui percorsi tracciati dal tardo Medioevo e tramanda alla contemporaneità molti più elementi di quanto potrebbe far pensare la cesura operata dalla «democratizzazione» di fine Settecento e dalla successiva riorganizzazione napoleonica, nei tre-quattro secoli, dunque, ha nella Marca un ruolo specifico tutt’altro che secondario, sotto l’aspetto politico-istituzionale, nella gestione del territorio, nelle relazioni economiche sociali e culturali, nell’articolazione della vita religiosa. Sono alcune delle direttrici attraverso le quali si sviluppa la narrazione di Marco Moroni nel secondo volume dedicato alla città, dopo quello relativo all’età medievale del 2018. Studi e ricerche realizzati negli anni trovano qui organicità unitaria, sostenuti da nuove indagini e da una bibliografia ricca e puntuale, atta a evidenziare la dimensione nazionale, e non solo, di eventi e processi che nulla in effetti hanno di esclusiva rilevanza territoriale.

Sul piano politico-istituzionale a Recanati tra Quattrocento e Cinquecento «il potere amministrativo si accentra sempre più nelle mani di un ristretto numero di famiglie» (p. 14), fino a dare luogo agli inizi del Seicento alla «serrata aristocratica», che fa delle famiglie patrizie, o famiglie «di reggimento», le detentrici esclusive del governo della città, forti dell’assunto ideologico, progressivamente affermatosi in Italia dalla metà del secolo XVI, per cui «l’esercizio del potere è prerogativa di una classe dirigente che sia preparata dal punto di vista culturale, che abbia una professionalità di tipo amministrativo e che, guidata sul piano etico da un forte senso del dovere, sia disposta a mettersi al servizio della città» (p. 27). È il ceto nobiliare che, tra inevitabili difficoltà, strategie di salvaguardia delle prerogative anche nei confronti di Roma, inserimento graduale di elementi forestieri, aperture dal Settecento a categorie emergenti, secondo percorsi ben definiti (notariato, mercatura…), fermi restando i requisiti della cospicua consistenza patrimoniale, del «vivere nobilmente» senza dover «praticare arti «meccaniche» e «mercenarie» (p. 49), governa fino a tutto il Settecento «le ben regolate città» della Marca ha avuto modo di chiarire Bandino Giacomo Zenobi.

Recanati fonda la prosperità e la possibilità di fare fronte alle necessità annonarie della popolazione, in forte crescita dal secolo XVIII, messe a dura prova dal riproporsi di carestie, da quelle gravissime degli anni Novanta del Cinquecento e degli anni Sessanta del Settecento, passando per quelle del 1648 e del 1735, sulla proprietà fondiaria, pubblica e soprattutto privata, che può via via avvalersi di miglioramenti significativi e dal 1732 delle possibilità mercantili offerte dal porto franco di Ancona. A lungo è tuttavia la fiera il fulcro dell’economia, della vita sociale e culturale della città. Già attiva negli ultimi decenni del Trecento, riconosciuta ufficialmente da papa Martino V nel 1421, essa diventa rapidamente «uno dei più importanti appuntamenti della Marca di Ancona», e, forte del sostegno di Venezia, si afferma come «fiera adriatica», al centro di un sistema che si estende a Fermo e Lanciano verso sud, a Pesaro e Rimini a nord, «con Foligno e l’Aquila come punti di snodo delle piazze commerciali poste al di là della catena appenninica» (p. 168). Dal primo settembre a metà ottobre, nonostante i non facili rapporti con Ancona, affluiscono e animano Recanati – 221 sono le botteghe aperte nel 1573 – mercanti e prodotti da Venezia, da Firenze, da Ragusa, dalle valli bresciane, da Lubiana, da Fiume, dai territori tedeschi e balcanici, oltre che ovviamente da tutta la Marca. Va avanti fino ai primi anni dell’Ottocento, ma dalla fine del secolo XVI incontra difficoltà crescenti per il proliferare delle fiere nelle Marche e soprattutto per la progressiva perdita di centralità dell’Adriatico, di fronte all’affermazione delle rotte oceaniche. La crisi della fiera, alla fine Cinquecento, «si configura come un momento di svolta per la storia della città» (p. 203).

All’evento mercantile sono collegate le principali articolazioni del lavoro urbano, nel cui ambito, dopo il periodo d’oro medievale, continuano a essere «assi portanti non solo dell’economia ma della struttura urbana nel suo complesso» le corporazioni (p. 208), con i mulini, la tessitura domestica, la «fabbrica delle tele», le tintorie, le gualchiere, le fonderie, la lavorazione del cuoio, l’avvio dell’arte tipografica nei primi anni del Seicento. Mette in evidenza Marco Moroni la funzione svolta in particolare dal lavoro «che si trovava a cavallo tra il mondo dell’artigianato fondato su una formazione pratica» e quello « dotato di una vera e propria formazione tecnico-scientifica», in quanto da lì sono giunti «i maggiori impulsi alla trasformazione economica e alla mobilità sociale. Sono impulsi che contribuiranno alla ripresa del Settecento» (p. 228).

Non sono di minore significato le professioni liberali, le quali già alla fine del Quattrocento possono avvalersi di «umanisti e personaggi di grande rilievo culturale » (p. 227), che giungono da Siena, da Sanseverino e Fabriano e da Ascoli, città natale di Antonio Bonfini, poi storico dell’Ungheria alla corte di Mattia Corvino. Nei primi due decenni del Cinquecento la presenza di Lorenzo Lotto catalizza la vita artistica della città, che per tutta l’età moderna, a conferma della vivacità economica e culturale, può contare sull’opera di personaggi di assoluto rilievo nella pittura (Palma il Giovane, Filippo Bellini, Federico Zuccari, il Pomarancio, il Guercino, Giovanni Peruzzini…) nell’arte orafa e nella scultura, con la formazione della «scuola di scultura recanatese».

Parlare di Recanati, è parlare di Loreto, la piccola chiesa rurale del contado, che, identificata con la casa di Nazaret miracolosamente trasportata dalla Terrasanta dopo la caduta nel 1294 di San Giovanni d’Acri, riconosciuta «come santuario protettivo nei confronti della peste» e rapidamente « assimilata ai tre grandi luoghi santi del cattolicesimo: la Palestina, Roma e Santiago di Compostela» (p. 337), gode della protezione e dei privilegi accordati da Giulio II, da Leone X… e soprattutto da Sisto V, il quale nel marzo del 1586 eleva Loreto da castello di Recanati a città, la felix civitas lauretana. È straordinario riferimento italiano e internazionale di fede, di religiosità, e quindi metà di pellegrini, tra i 150 e i 200.000 nel XVI e XVII secolo, con tutto ciò che comporta sul piano «dell’economia della devozione», di cui anche Recanati può avvalersi.

Sono questi alcuni dei temi dell’ampia narrazione di Marco Moroni, che volge la solida e ampia orditura scientifica in esposizione di agevole lettura e conduce, attraverso una città, a rivivere i momenti salienti della straordinariamente composita età moderna, fino al brusco, ma non imprevedibile, crollo politico-istituzionale di fine Settecento, che comporta la conclusione del «vecchio rapporto di subordinazione del contado alla città», rende«tutte le istituzioni locali uguali di fronte allo Stato», soprattutto dichiara l’«uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge», ponendo fine ai «privilegi giuridici riservati a nobili ed ecclesiastici: il godimento di parziale (o totale) immunità fiscale e di foro giuridico riservato, nonché di monopolio ereditario delle cariche pubbliche» (p. 433). Si aprono in tal modo le porte alla contemporaneità, con le innovazioni e le realizzazioni che l’hanno caratterizzata, le aspettative mancate e le tragedie. Questa sarà materia di altro volume.

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