Luigi Girolami, Pellegrini e pellegrinaggi dalle Marche meridionali. Le fonti documentarie di Ascoli, Amandola, Appignano, Offida, Montalto, Castignano, Ripatransone, Monsampolo e altri luoghi

Luigi Girolami, Pellegrini e pellegrinaggi dalle Marche meridionali. Le fonti documentarie di Ascoli, Amandola, Appignano, Offida, Montalto, Castignano, Ripatransone, Monsampolo e altri luoghi, con la collaborazione tecnico-archivistica di E. Santoni e L. Ciotti, Andrea Livi editore, Fermo 2018, 384 pp., € 24,00, 9788879694155

I registri notarili, si sa, rappresentano la tipologia documentaria più cospicua e più continuativa nel tempo fra quelle conservate negli archivi. Come fonti storiche, essi costituiscono un serbatoio inesauribile di dati e di informazioni sulla realtà economica e sociale delle diverse epoche per le quali generalmente si conservano le serie, cioè dal tardo medioevo fino a oggi. Questa ricca congerie di dati può essere però messa a profitto soltanto se chi si accinge a intraprendere una ricerca soggiace a due condizioni: una ricerca lunga, laboriosa, meticolosa, direi quasi maniacale, e una volontà ferrea di tenere il timone a dritta per attraversare senza naufragi il mare magnum della scrittura secondo un obiettivo tematico saldamente prefissato. È quanto fa con successo Luigi Girolami, che indaga la documentazione notarile conservata in numerosi archivi della provincia di Ascoli Piceno e di Fermo (ben quindici, quelli considerati) per ricostruire la storia dei pellegrinaggi e la vita dei pellegrini nel Piceno fra lo scorcio del medioevo e la piena età moderna, allorché le fonti si fanno quantitativamente più abbondanti.

Lo scandaglio sistematico delle testimonianze documentarie consente all’autore di approntare un affresco di vaste proporzioni su un tema, quello dei pellegrinaggi, in realtà piuttosto battuto nella storiografia, ma troppo spesso imperniato sulle grandi mète del pellegrinaggio internazionale e poco incline a cogliere in profondità cosa significasse il pellegrinaggio nell’esperienza individuale e sociale di coloro che vissero in un preciso territorio. In primo piano balza dunque la vita quotidiana, un aspetto su cui ormai da molti anni la Scuola delle Annales ha richiamato l’attenzione, ma che appare tuttora inesausto e fecondo. L’esperienza del pellegrinaggio diventa così per l’autore lo snodo attraverso cui cogliere una serie di temi connessi e congruenti: quello della carità, dell’assistenza, dell’ospitalità, ma anche quello della religiosità, delle devozioni, delle credenze e degli inganni. Ne scaturisce un quadro mosso e dinamico, nel quale pratiche sociali e devozionali concorrono a ricomporre uno spaccato di vita à part entière, la vita di quella varia e spesso afflitta umanità vissuta nelle Marche meridionali prima e dopo lo spartiacque del Concilio di Trento.

La prima parte del libro è programmaticamente intitolata “Le storie dei pellegrini”, così da mettere in primo piano le tante e talora difformi esperienze di donne e uomini che nella loro vita intrapresero un pellegrinaggio. Attraverso una disamina attenta e serrata, si apprende che i motivi che inducevano i pellegrini a mettersi in moto erano molti e anche variegati. Alcune esperienze accentuavano l’aspetto penitenziale, come accade ad esempio a quel Gabriele di Antonio delle Piane di Mozzano che scelse di imporre ai suoi eredi di visitare la Santa Casa di Loreto con le mani dietro la schiena e senza sandali. In altri casi prevaleva invece l’aspetto confraternale, ossia la volontà di condividere un cammino di gruppo, che a volte poteva essere anche festante e perfino chiassoso, al punto che nel primo Seicento il vescovo di Fermo dovette disciplinare questa forma di pellegrinaggio, vietando ai partecipanti di suonare strumenti, di fare balli o di andare a caccia durante il tempo del viaggio. C’erano poi i pellegrini vicari (nelle fonti variamente designati con l’epiteto di viator, nuntius, missus etc.), cioè coloro che erano incaricati e pagati per svolgere un pellegrinaggio per conto di terzi e che dunque svolgevano in qualche modo un’attività remunerata. I pellegrini, dunque, potevano preferire l’esperienza di un cammino solitario oppure comunitario, potevano essere mossi da una ispirazione più o meno ascetica o penitenziale, oppure essere costretti a svolgere il cammino in osservanza alle disposizioni testamentarie di un genitore, che in alcuni casi poteva prevedere addirittura la perdita di tutta o di parte dell’eredità.

L’analisi approfondita delle fonti notarili, con i suoi rigorosi dispositivi giuridici, consente all’autore di rigettare un’idea stereotipata del pellegrino, alla quale siamo spesso abituati a conformarci, per restituire invece una straordinaria varietà di esperienze umane, condizionate di volta in volta dalla temperie storica, dai meccanismi giuridici, dalle forme di devozione e dalle credenze. Queste ultime appaiono rilevanti per orientare le scelte, anche quando si fondano sugli inganni. Così, ad esempio, nel 1486 un predicatore carismatico proveniente dalla Basilicata infiammò il cuore dei fedeli ascolani annunciando una profezia secondo cui la chiesa di Loreto sarebbe stata traslata col suo dipinto miracoloso nella loro città entro un anno dalla sua predica. Un uomo fu pronto a correre dal notaio per promettere ai sindaci della cappella di S. Maria del Lago di realizzare un’opera sacra in attesa dell’arrivo della madonna lauretana. In altri casi era la credenza della liberazione dell’anima dei parenti defunti dal Purgatorio a spingere gli uomini a intraprendere un cammino, in questo caso principalmente per lucrare l’indulgenza francescana della Porziuncola, potentemente rilanciata dai frati dell’Osservanza.

La seconda parte del libro, intitolata “Le mete dei credenti. Alla ricerca del perdono” è invece rivolta alla dimensione spaziale. L’autore individua i flussi della partecipazione dei pellegrini piceni verso le principali mete europee: Roma, periodicamente invasa da grandi ondate di fedeli, in concomitanza con i giubilei; il cammino di Santiago, che comportava costi molto onerosi, in alcuni casi precisamente computabili; Assisi, ove si otteneva l’ambito perdono della Porziuncola; i santuari dell’Italia meridionale adriatica, primo fra i quali S. Michele Arcangelo sul Gargano; Loreto, venuta alla ribalta in età controriformistica grazie allo straordinario rilancio della devozione mariana; infine Gerusalemme, in continuità con la grande tradizione del pellegrinaggio medievale in Terra Santa. Non occorre però sottovalutare i pellegrinaggi a corto raggio e perfino quelli urbani, molto diffusi nella Ascoli del Cinquecento: si trattava di devozioni che impegnavano il credente a visitare periodicamente una chiesa della città per un lasso di tempo stabilito.

Investe sempre la dimensione spaziale l’esame circostanziato degli enti caritatevoli e soprattutto degli istituti (ospedali, in primis) destinati all’accoglienza dei pellegrini. Fitta era la rete dei luoghi nei quali potevano trovare ristoro coloro che affrontavano il duro cammino, irto di molti pericoli, che le fonti fanno sovente affiorare: furti e predazioni, ma anche gravi incidenti dovuti alla precarietà dei percorsi viari o alle calamità naturali. In questi luoghi di ospitalità, senz’altro spartani ma capaci di recare conforto ai viandanti, si incontrava un’umanità varia e cosmopolita, varia per provenienza ed estrazione sociale, così come mostrano le utili liste di nomi registrate dall’autore per i periodi meglio documentati, fra Cinque e Seicento. Complessivamente, il libro restituisce una pregevole messe di dati in forma ordinata e sistematica, così da indicare le molteplici forme e istanze nelle quali si realizzava l’esperienza del pellegrinaggio. Un libro istruttivo, dunque, e un potente antidoto contro ogni conformismo su questo importante tema d’indagine storica.

Francesco Pirani

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