Le ragazze che abitano la poesia leopardiana sono ormai divenute celeberrime anche presso il grande pubblico. Dopo aver analizzato i personaggi letterari del poeta recanatese, la critica si è ultimamente spesa nel rintracciare le donne che scandirono la sua esistenza, con un autobiografismo che si è spesso rivelato una chiave di lettura fine a se stessa, almeno per quanto riguarda l’analisi prettamente letteraria. Ma fra le presenze femminili di carta e in carne e ossa del mondo leopardiano, pochi si sono preoccupati di indagare quali fossero le lettrici contemporanee – qualora ve ne fossero state – delle sue opere: esistette sin da subito un pubblico femminile? E in cosa si contraddistinse – se si differenziò – rispetto a quello maschile? Ebbene, attraverso l’esperienza peculiare di tre lettrici come Matilde Manzoni, Giuseppina Guacci Nobile e Giuseppina Turrisi Colonna, cercheremo di ricostruire un quadro più generale, che possa restituire la cifra di una ricezione ancora oggi poco indagata a livello sistematico: una ricezione irripetibile nella sua autenticità, non ancora alterata da alcuna mediazione critica, e d’altra parte più disinteressata e intellettualmente onesta rispetto alla generale accoglienza dei contemporanei.
Pur nella diversità dei tre casi, numerosi sono i fili conduttori che correlano le loro esistenze, e tra questi spicca proprio il comune interesse per il poeta recanatese: cancellate dalla nostra storia letteraria e fin troppo legate, nella loro produzione, a stilemi scolastici già obsoleti per l’epoca, «sentirono la propria condizione di donne come un doloroso limite opposto alle proprie aspirazioni, come una prigionia esistenziale», e morirono «giovani come quelle creature stroncate appena giunte sul limitare della vita, cui Leopardi, facendone potenti emblemi della condizione umana, aveva voluto dare corpi e nomi di donne».
Matilde Manzoni, una lettrice «dal di dentro»
Ultima dei nove figli di Alessandro Manzoni ed Enrichetta Blondel, Matilde nacque nel 1830. Rimasta orfana di madre a soli tre anni, nel ’38 entrò in convento, dove vi era già la sorella Vittoria. Nel ’41, dopo aver compiuto diciotto anni, Vittoria uscì dal collegio, e Matilde si ritrovò di nuovo sola; quello stesso anno morì anche la nonna Giulia Beccaria, con la quale «Matildina» era cresciuta nei suoi primi anni di vita, a casa, insieme al padre che nel frattempo si era risposato con Teresa Borri. Rimase in convento fino all’età di sedici anni, e già l’anno seguente (1847) si trasferì in Toscana, ospite di Vittoria e del neocognato Giovanni Battista Giorgini. Da quel momento Matilde non vide più suo padre, se non in alcune occasioni speciali – e «non risulta che Manzoni, in dieci anni di carteggio, abbia mai scambiato un’opinione o un’emozione con la figlia. Non risulta che mai le abbia chiesto o dato un parere, una notizia che superasse la cordialità formale […]».