Abitanti, terra e territorio. Sugli Appennini marchigiani, e in genere nelle aree montane di ancien régime, le comunità si identificano con i loro territori. Le aree in cui sono insediati i nuclei abitativi, che anche sui Sibillini come altrove prendono il nome di ville, sono ripartizioni territoriali intese come unità eco-sistemiche, microcosmi veri e propri all’interno dei quali le risorse ambientali (terra, suolo, acqua, boschi, macchie, pascoli) e i loro fruitori (uomini ed animali) si integrano in modo tale che il tutto assuma le forme di una totalità equilibrata e inscindibile. Il territorio dunque non è la semplice piattaforma dove appoggiare attività, realizzare utili e profitti, da cui estrarre materiali e prodotti. Esso è invece un soggetto naturale e vitale che fa parte in modo ineliminabile delle relazioni comunitarie.
Il funzionamento di tali relazioni poggia su un codice socio-economico e culturale complesso, dotato di una rigorosa razionalità che è basata su alcune fondamentali regole. La prima di esse attiene alla organizzazione patrimoniale e alla distribuzione della proprietà terriera. Essa impone una ben integrata ripartizione del suolo fra privati, ecclesiastici e collettività (tabella 1). I dati non si limitano a confermare un tratto dell’economia dei Sibillini già ben conosciuto, costituito dalla persistente rilevanza del peso relativo delle proprietà collettive; indicano piuttosto che la tripartizione del fattore terra fra privati, ecclesiastici e comunità è anche in età moderna una variabile non accessoria né accidentale dell’organizzazione economica della villa. L’incidenza della proprietà privata laica sulla totalità della superficie afferente a ciascuna di esse presenta, infatti, un ampio spettro di oscillazione che va dal massimo del 91%, raggiunto ad esempio nell’area valliva di Piano e Pistrino di Montegallo, al minimo del 36% registrabile a Colle di Arquata, mentre in 15 ville sulle 30 in cui si strutturano i due Comuni presi a campione essa ne copre fra il 63% ed il 79%. Pur nelle differenze delle singole condizioni comunitarie e nella diversità del peso relativo rappresentato da ciascuna delle suddette tipologie sulla totalità della superficie di cui si compone l’universo della villa, tale compresenza di più tipologie di proprietà costituisce tuttavia un tratto costante e per così dire universale della organizzazione delle comunità di quest’area appenninica. La razionalità di tale modello organizzativo è data dal fatto che ciascuna tipologia di proprietà, sia essa privata che ecclesiastica che collettiva, ha finalità di uso sue proprie diverse l’una dall’altra ma, nel contempo, integrate fra loro e tutte tese a garantire, insieme, il buon funzionamento dell’intero universo comunitario. La specificità della proprietà privata emerge dalle colture che generalmente vi si praticano e dal paesaggio agrario che le caratterizza: innanzi tutto la marginale incidenza delle colture boschive e foraggere a fronte di una significativa rilevanza di quelle cerealicole anche nei contesti territoriali morfologicamente più acclivati ed aspri. A Foce di Montemonaco, ad esempio, alla rilevazione del catasto Piano (1782) le 11 famiglie residenti nella villa e titolari di proprietà terriera destinano la metà dei 67 ettari che lì possiedono a lavorativo-arativo; 15 ettari sono coperti in porzione marginale da prati falciabili mentre in prevalenza sono costituiti da pascolo naturale spesso povero e spezzato da sassi e scogli; altri 15 ettari, allibrati come sodo, sono perlopiù l’esito degradato di suoli impropriamente sfruttati, in via di sterilizzazione e sui quali sopravvivono macchie rade e stentate di vegetazione erbosa ed arbustiva; appena 1 ettaro risulta coperto da macchia e bosco ceduo (Tabella 2).
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