Le città sono al centro di una rinnovata attenzione. Non solo per la crescente tendenza delle persone a muoversi alla ricerca di luoghi dove si concentrano migliori e maggiori opportunità di vita e di lavoro, ma anche perché cambiamenti climatici e impatto delle nuove tecnologie richiamano sempre più la curiosità di studiosi e ricercatori verso le dinamiche dei contesti dove vivono moltitudini di persone. L’Italia e l’Europa, per storia e identità, hanno molto da dire in proposito, ma è necessario che una riflessione sulle città e sui luoghi torni ad essere attuale, anche nelle Marche, regione in bilico tra ambizioni urbane, nuova ruralità e conseguenze post-sismiche. La IV edizione dei seminari di approfondimento #marcheuropa, organizzati dal Consiglio Regionale delle Marche e dall’Istao di Ancona, si è occupata proprio di queste tematiche. Di seguito tre riflessioni scaturite dai tre seminari che si sono svolti secondo i programmi allegati.
Le città e i luoghi: una sfida per le Marche
Che ne sarà delle Marche di fronte al mondo che avanza? È questo l’interrogativo che ha fatto da sfondo ai diversi interventi del primo seminario della IV edizione di #marcheuropa, che si è tenuto l’11 ottobre scorso a Fano.
Una regione policentrica, che conserva i tratti della perifericità, che ha saputo “inventare” nel secondo dopoguerra un modello di sviluppo, è ora alle prese con un mondo che si è terribilmente dilatato, mentre le città tornano al centro della scena come piattaforme globali dello sviluppo e il cuore delle regioni europee più ricche appare costituito da quell’area omogenea che dal triangolo Bologna-Milano-Treviso, sale verso la Baviera, Berlino, Amburgo, fino ai Paesi Bassi e alla Danimarca.
La discussione ha tenuto ben presente che nelle Marche qualsiasi volontà di concentrarsi su una singola città appare fuori tema rispetto alla sfida in campo, accentuata dalla progressione dell’economia digitale. “Essere città” nelle Marche è possibile solo pensandosi dentro “l’organismo” regionale e in stretta connessione con i vincoli e le opportunità europee.
Tra centro e periferia, o meglio tra i tanti centri e le altrettante periferie, è squadernata oggi una gigantesca questione di fiducia, che si esplica in tensioni crescenti e in una percezione d’insicurezza superiore alla media nazionale, persino nelle un tempo coese comunità del Centro Italia. L’Italia di mezzo e le Marche, in questo quadro, riconfermano la propria “medianizzazione” rispetto al resto d’Italia, anzi per certi versi – come nel caso dei comportamenti elettorali – sono divenute lo specchio esatto del Paese.
Tuttavia, un buon quoziente di capitale sociale, un diffuso spirito d’intraprendenza, una buona capacità di governo dei processi locali non solo persistono, ma possono essere risvegliati, come dimostra l’impegno di tanti amministratori premiati dalle urne nella competizione elettorale comunale in controtendenza rispetto ai risultati elettorali più generali.
Ora che la “terza Italia”, anche quella politica, è ritornata in campo è necessario chiedersi, come ha cominciato a fare il nuovo Governo con il decreto “Clima” e il piano “Rinascita urbana”, che cosa bisogna fare per superare un ritardo culturale che ha fatto delle città “mucchi di case” che hanno divorato suolo senza creare nuove centralità, tanto meno bellezza.
La proposta che è emersa dai lavori seminariali è stata quella di integrare in maniera forte urbanistica e sviluppo, pianificazione territoriale e programmazione dello sviluppo, se vogliamo dare sostanza alla sfida della sostenibilità, puntando – nella realtà marchigiana – su “microcosmi locali a portata globale”, ovvero “cluster di sviluppo” costituiti da “grappoli di città e paesi” con una forte vocazione identitaria.
L’idea di “un progetto-pilota sui centri minori delle Marche”, proposto da Alberto Clementi, potrebbe riguardare alternativamente un’idea di governo della “città adriatica”, di cui la conurbazione Pesaro-Fano rappresenta un ganglio esemplare, oppure delle città-capoluogo inclusa quella regionale, che si stanno sperimentando con le progettualità degli ITI urbani e la trasformazione del “costruito”, oppure dell’area più colpita dal sisma, costituita dai piccoli Comuni disposti ad anello intorno ai Monti Sibillini insieme al relativo asse pedemontano, da Fabriano a Camerino, da Ascoli Piceno a Tolentino.
Ciò richiede capacità di government istituzionale multilivello (Comuni, Regione, Stato, UE), ruolo pubblico e collaborazione con i privati, possibilità di lavorare in maniera flessibile per progetti e non in maniera rigida per settori, cosa che nel nostro Paese è molto difficile, anche perché non esiste disciplina giuridica di un simile modo di operare.
In definitiva, la sfida delle Marche si gioca sulla connessione interna tra le sue città e i suoi luoghi, e sulla connessione esterna con le direttrici est-ovest (Roma e Firenze) e nord-sud (Bologna e Milano, da un lato, e il “corridoio adriatico”, dall’altro). Infrastrutture e mobilità diventano centrali da questo punto di vista: dalle ciclovie alle connessioni infrastrutturali tra aree urbane e zone industriali e dei servizi, dalla Orte-Falconara all’alta velocità Ancona-Bologna. Ma altrettanto importante diventa dotarsi di un piano di riordino territoriale, se vogliamo fare delle Unioni di Comuni non esperienze occasionali, ma veri ambiti d’integrazione urbanistica, territoriale e di sviluppo.
Cosa saranno le Marche dipenderà anche dal far diventare alcune di queste suggestioni azione lungimirante, amministrativa e di governo.
Le Marche policentriche in transizione
Come è possibile rendere sostenibile il policentrismo marchigiano? È questa la domanda che ha percorso come un fil rouge il confronto che ha animato il secondo seminario #marcheuropa che si è tenuto il 25 ottobre scorso ad Ascoli Piceno.
Nel mondo che viaggia verso le grandi concentrazioni e che a livello dei territori conosce invece fenomeni di grande contrazione, la tenuta del sistema urbano policentrico delle Marche, ulteriormente indebolito dagli effetti del sisma, costituisce una questione rilevante per l’efficienza competitiva e la qualità della vita della nostra regione.
Lo sviluppo diffusivo dei decenni che hanno preceduto la grande crisi ha avuto nelle Marche effetti evidenti nella linea di costa, nell’espansione dei fondovalle, dove il mix di residenziale e commerciale è divenuto un tratto quasi identificativo delle tipologie costruttive, e nello spopolamento delle terre alte. Tutti caratteri che hanno reso le Marche molto simili a quanto avvenuto in altri territori, anche sotto il profilo dell’eccesso di consumo di suolo.
Con la crisi del 2008 è finito il ciclo della crescita espansiva e sono entrati fortemente in discussione i fondamentali della nostra regione, a partire dalla scarsa capacità innovativa del sistema produttivo, dall’incidenza negativa del saldo demografico – come sottolineato di recente dal Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco ad Ancona –, dalla smaterializzazione dei processi lavorativi e dal più marginale posizionamento del nostro Paese e delle stesse Marche nelle cosiddette “catene globali del valore”.
Il troppo lento recupero della perdita di ricchezza subita, l’avvio stentato del processo di ricostruzione post-sismica, l’innovazione costante richiesta dal sistema di welfare regionale per garantirne qualità e sostenibilità finanziaria, l’irrompere della questione ambientale, dovrebbero spingere a ricercare alleanze sociali e politiche nuove e più ampie nel tentativo di “governare il cambiamento”.
Un punto essenziale di questo tentativo dovrebbe riguardare proprio il rafforzamento dell’assetto policentrico del sistema Marche fatto di una rete di città piccole e medie e di sistemi insediativi diffusi tra loro comunicanti.
Riabitare le Marche in contrazione è, quindi, il tema emerso con forza dalla discussione. Il fenomeno riguarda la città lineare adriatica con i suoi punti di forza nei sistemi locali di Civitanova Marche, Ancona, San Benedetto del Tronto, Pesaro-Fano, Senigallia, ma anche con i suoi luoghi dell’anonimato, i vuoti abitativi e la perdita di valore immobiliare; riguarda quelle che Arturo Lanzani ha chiamato le “conche intristite”, i fondovalle fluviali dove l’espansione ha lasciato il passo ad aree dismesse e capannoni vuoti, come ad esempio nella valle del Tronto o del Chienti e su a risalire; riguarda, infine, le aree interne dove gli effetti del sisma richiedono di dare sostanza al “dov’era, come sarà” attraverso il coraggio di azioni progettuali di riconfigurazione degli abitati e delle comunità, in grado di attivare nuovi processi di accumulazione, e l’investimento su alcuni centri urbani che svolgono una funzione di pivot per ampi territori montani contermini.
Infine, sono emerse alcune proposte: un primo terreno di sperimentazione per le amministrazioni locali è quello del “riuso adattativo” del costruito, che deve avvenire secondo un’impronta progettuale innovativa e riformatrice, come nel caso delle stesse manutenzioni straordinarie degli edifici pubblici strategici.
Un secondo terreno riguarda la definizione di una Strategia Regionale per lo Sviluppo Sostenibile che punti sulla resilienza delle comunità, in un’ottica interregionale (Marche, Umbria e Abruzzo), e che sia concreta, cioè impegnativa per il decisore politico in termini di azioni, tempi e risultati attesi.
Un terzo terreno è la consapevolezza che senza una visione strategica il policentrismo non ha futuro e ciò vale soprattutto per la trama dei centri storici più colpiti del cratere sismico che dovrebbero adottare le indicazioni delle ordinanze n. 39 e n. 46 del Commissario Straordinario, in particolare lo strumento del “documento direttore”, con maggiore convinzione per orientare la ricostruzione.
Da ultimo, sulla base dell’esperienza degli Interventi Territoriali Integrati (ITI) urbani e delle aree interne, nonché dei Progetti Integrati Locali (PIL) dei Gruppi di Azione Locale (GAL), è venuto il tempo di fare un ulteriore passo in avanti, dotandosi di una Agenda urbana regionale da sostenere con le risorse della programmazione europea 2021-2027.
Le città e i luoghi sono in transizione, concepirli come un bene comune, formare e orientare competenze, pensare l’urbanistica non più solo come una funzione di servizio, sintonizzare la politica all’altezza delle problematiche di un secolo che si annuncia “metropolitano” sono compiti di una rinnovata coscienza regionalista.
Un green new deal per le città e i luoghi
Nel mondo che si polarizza tra le città del futuro e la marginalità dei luoghi non si gioca soltanto il mutamento di equilibri geopolitici e territoriali, ma la qualità della democrazia.
È questa la consapevolezza emersa dai lavori dell’ultimo dei tre seminari #marcheuropa che si è tenuto l’8 novembre scorso ad Ancona.
Come ha sostenuto Antonio Mastrovincenzo, presidente del Consiglio regionale delle Marche, in apertura dei lavori: “Se alla fine del secolo l’85% delle persone vivrà nelle città e in città sempre più grandi, in luoghi dove andranno garantiti diritti basilari, vivibilità e qualità della vita, dove le tecnologie saranno pervasive, ponendo problemi di rispetto della privacy e di organizzazione della democrazia, vi saranno – al contrario – luoghi sempre più marginali e periferici, dove il saldo demografico, l’invecchiamento e l’abbandono determineranno processi di desertificazione, e il governo del territorio, l’esigibilità dei diritti, il valore della democrazia avranno tutt’altro senso”.
In questo scenario, i territori come la nostra regione rischiano di subire sia i processi di condensazione urbana che la difficoltà di riabitare i margini, i luoghi delle proprie aree interne, per di più feriti dal terremoto.
La polarizzazione mette in discussione il modello di città europea, per cui “è indispensabile – ha sottolineato ancora Mastrovincenzo – proporre in alternativa un progetto di convivenza civile, intelligente, sostenibile e inclusivo, un ‘nuovo equilibrio’ tra aree urbane e aree rurali e interne, tra uso delle tecnologie e rispetto dei diritti della persona, tra sviluppo urbano e tutela delle risorse naturali, tra ospitalità-accoglienza e protezione-sicurezza, tra nuove forme di partecipazione e democrazia rappresentativa”.
A questa altezza deve avvenire la risposta della civiltà europea. Come fare? Una proposta è venuta da Fabrizio Barca che, nell’ottica del contrasto delle disuguaglianze territoriali, che sono inevitabilmente di opportunità, ha proposto di destinare la tassazione dei profitti dei giganti del web a programmi di sviluppo rivolti ai luoghi marginali.
Il confronto tra i relatori ha riguardato, poi, la possibilità d’individuare un ambito “ideale” della partecipazione, dove le pratiche partecipative possono avere una reale incidenza nella formazione e verificabilità delle decisioni. L’esperienza marchigiana delle città creative come Fabriano o degli Ambiti territoriali sociali è stata richiamata come esemplificazione di nuove modalità di programmazione in chiave di sviluppo sostenibile: attraverso la contaminazione di saperi, produzioni, design, arte e cultura, da un lato, o mediante l’incastro di funzioni socio-sanitarie, politiche attive del lavoro e della formazione, sistema dell’istruzione e politiche per la casa, dall’altro.
Costruire un nuovo equilibrio che sia un’alternativa alla polarizzazione e interpreti in senso riformatore il “passaggio dallo spazio alla rete”, evocato da Franco Farinelli, è possibile se si ricercano percorsi di convergenza economica, sociale e territoriale.
Convergenza a livello europeo secondo i 5 obiettivi della nuova politica di coesione che punta ad un’Europa più intelligente, più verde, più connessa, più sociale, più vicina, anche attraverso strategie di sviluppo urbano integrato; ma anche convergenza a livello nazionale, ad esempio attraverso la nuova proposta di regionalismo differenziato avanzata dal ministro Boccia, che – a fronte del riconoscimento della maggiore autonomia delle Regioni – propone la definizione di fabbisogni standard, livelli essenziali delle prestazioni e meccanismi di perequazione, non solo tra le Regioni, ma all’interno di ciascuna di esse nei confronti dei territori più fragili.
Considerazioni conclusive pertinenti sono venute dal Sottosegretario all’Ambiente On. Roberto Morassut che ha insistito sul fatto che le città stanno perdendo il loro carattere di tessuto connettivo delle comunità, a causa di dinamiche sociali come la crisi dei ceti medi e di meccanismi che hanno reso i Comuni ostaggi del circolo vizioso tra espansione, consumo di suolo, crescita della rendita immobiliare e oneri di urbanizzazione utilizzati per finanziare la spesa corrente.
Questo circolo si è spezzato con la crisi economica e sociale d’inizio secolo ed è saltata l’organizzazione dello spazio urbano che, però, non ha potuto contare su strumenti legislativi che orientassero e regolassero la fase nuova determinata dalla fine della crescita urbanistica fondata sull’occupazione di spazi aperti.
Alla vigilia degli 80 anni della ancora vigente legge urbanistica nazionale, la “città delle reti” e le “reti di città” devono poter contare sul buon esito di alcune proposte di legge in discussione nel Parlamento, ad esempio quelle sul consumo di suolo e sui diritti edificatori, ma anche sull’approvazione della legge di stabilità che prevede l’avvio del green new deal, ossia il grande piano di investimenti “verdi” per un valore di 60 miliardi di euro in 15 anni che spingerà ancora più in avanti il nostro Paese sul versante della sostenibilità.
Rimettere al centro le ragioni della città pubblica, organizzare a tale scopo la Pubblica Amministrazione che potrà contare nei prossimi tre anni sull’immissione in ruolo di circa 500.000 giovani dipendenti, lavorare sulla città esistente, organizzare lo spazio urbano pubblico attraverso investimenti in ambito sociale e infrastrutturale, innovare le tecnologie costruttive, puntare sulla densificazione e il coagulo contro lo sprawl, organizzare i servizi digitali della città, sono alcune delle indicazioni emerse dall’incontro.
Infine, affinché il “deserto sovraffollato” della modernità liquida transiti verso nuove solidità che abbiano un volto democratico bisognerà che cultura, politica e amministrazione provino a darsi la mano. Nelle città e nei luoghi delle Marche, volendolo, è possibile.