La fraternita di Santa Maria di Castelnuovo di Recanati (secoli XV-XVIII)

In un recente articolo pubblicato negli «Atti e memorie» della Deputazione di Storia patria per le Marche ho ricostruito la storia della fraternita di Santa Lucia di Recanati, una fraternita laicale nata su base territoriale e con finalità prevalentemente sociali e assistenziali, tanto da essere promotrice del maggiore ospedale della città, soppressa nel 1677 dal vescovo locale, il cardinale Alessandro Crescenzi.

Per molti versi simile è la vicenda della fraternita di Santa Maria di Castelnuovo. Fondata a fine Trecento o nei primissimi anni del Quattrocento e anch’essa sorta su base territoriale come espressione di un gruppo laicale del borgo di Castelnuovo, uno dei quartieri della città, la fraternita viene riconosciuta dalle autorità recanatesi nel 1458; a differenza di quella di Santa Lucia, però, non è considerata «statutaria» e quindi non partecipa alle sedute della congregazione deputata alla riforma degli statuti comunali.

Probabilmente la sua origine risale alla seconda metà del Trecento; il 1404, che in genere viene considerato l’anno di fondazione, in realtà è l’anno in cui ottiene di poter erigere una propria cappella nella chiesa di Santa Maria di Castelnuovo, ancora retta dai monaci di Fonte Avellana. In quegli anni aveva già dato vita a un ospedale dedicato a San Giovanni Battista e forse, almeno all’inizio, anche la fraternita era intitolata allo stesso santo; probabilmente l’intitolazione viene cambiata nel 1404 quando aveva ottenuto di poter erigere la propria cappella nella chiesa di Santa Maria di Castelnuovo; la devozione al santo si mantiene anche in seguito, trovando una prima conferma nel 1437, quando la cappella risulta dotata «di un beneficio semplice sotto il titolo di San Giovanni Battista».

Come la fraternita di Santa Lucia, anche quella di Santa Maria era retta da due priori, inizialmente eletti ogni tre mesi e poi in carica per un anno; i priori erano affiancati da quattro consiglieri, poi detti anziani, e da due “consoli pacieri” ai quali era affidato il compito di «comporre ogni lite tra fratelli». L’operato dei priori era sottoposto al controllo di due “sindacatori” o sindaci; gli affari economici erano trattati da un massaro (poi “depositario”) e ogni atto veniva registrato da un segretario o cancelliere, dotato di competenze notarili. Col tempo, oltre al massaro si elegge un sindaco e al segretario si aggiunge un «servitore salariato o balìo».

Anche nella fraternita di Santa Maria, come in altri sodalizi laicali, si giunse a forme di chiusura oligarchica; in coincidenza con un analogo fenomeno in atto anche nelle magistrature cittadine, la tendenza alla chiusura si era manifestata fin dai primi decenni del Cinquecento. Il nuovo consigliere doveva presentare una supplica ai priori e ottenere la maggioranza dei voti in consiglio, ma l’aggregazione era subordinata a una attenta valutazione delle sue qualità morali e civiche. La delibera con la quale venne sancita l’introduzione del numero massimo di quaranta consiglieri fu approvata nel 1544; nel 1662 il loro numero fu aumentato a 45, ma per la validità della seduta si stabilì un minimo di 15 consiglieri.

La fraternita ricevette fin dal Quattrocento importanti donazioni; molti lasciti erano finalizzati a pratiche di pietà o a opere di carità, ma in ogni caso accrescevano il prestigio sociale e il potere economico del sodalizio. I lasciti noti sono soprattutto quelli che si riferiscono ai benefici ecclesiastici di patronato della fraternita; molto meno documentati risultano invece gli altri lasciti, relativi a case e terre. Dalla documentazione superstite si apprende che varie donazioni vengono effettuate da esponenti di alcune delle principali famiglie del quartiere: Antonio di Angelo Giunta, Polito Politi, Girolamo Confalonieri, Pietro Politi. Il primo lascito di cui si ha notizia si riferisce alla vigna della Provata, donata alla fraternita da Antonio di Angelo Giunta nel 1518.

Alcuni ettari di terra erano stati donati da Antonio di Angelo Giunta e da Polito Politi fin dalla prima metà del Cinquecento; altri appezzamenti, fra i quali l’ampio podere della Nocella, risultano acquistati a metà secolo, anche se non se ne conservano i relativi atti. Sta di fatto che col tempo la fraternita di Santa Maria riuscì a dotarsi di un consistente patrimonio fondiario; divenne così, insieme con le fraternite di Santa Lucia e di San Giacomo, uno dei sodalizi più potenti della città. Questo l’elenco dei possessi documentati poco dopo la metà del Cinquecento: «il campo delli Calzati some quattro; il campo della Jotta some diecinove; il campo presso il benefizio di S. Sebastiano some quattro; il campo della casa di Santa Lucia some nove; il campo di Polito [Politi] some sette; il campo di Spadone some cinque; il campo d’Antonio di Angelo [Giunta] presso Piervenanzo some cinque; il campo della Casa [poi detto della Nocella] some ventisette; il campo d’Orlando some sette; il campo di Campanella some sette».

[segue]

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