Se la sociologia giustamente propone di bandire il termine ‘comunità’ in quanto maldefinibile e portatore di ambiguità, esso va invece ricuperato a pieno titolo dalla ‘storia dei luoghi’ come unità minima amministrativa. Ci si vuol riferire in particolare alle comunità dello Stato pontificio, aventi personalità giuridica, normate e ‘vigilate’ – almeno a partire da fine Cinquecento e soprattutto da metà Seicento – dalla Congregazione del Buon governo e da una fiorente precettistica e trattatistica.
In quest’accezione il termine comunità è tutt’altro che evanescente: si sostanzia di ‘realtà’ come territorium e districtus, curia e curtis, universitas hominum e istituti che la rappresentano (consigli, ‘magistrature’, giusdicente locale), il popolo amministrato, statuto e catasto, abbondanze e monti vari, capacità (sia pure sotto tutela) di deliberare, imporre, intestare, negoziare, stare in giudizio.
La comunità pontificia di età moderna, erede del comune medievale – cittadino o rurale –, si trasformerà a sua volta, con un lungo e contraddittorio processo di accorpamenti e adeguamenti istituzionali-funzionali-finanziari, nell’attuale comune.
Il comune di Maiolo, nell’attuale conformazione attivata l’1 gennaio 1828, accorpa le comunità di Maiolo e Antico. Le quali a loro volta avevano inglobato, verosimilmente fra XII e XIII secolo, le curie di tre castellucci ora scomparsi, Spronalbotto/Spinalbotto e Maioletto confluiti in Maiolo, Landeto in Antico.
Per la geografia l’accorpamento era logico, essendo comune per lungo tratto il confine. Anche sotto l’aspetto economico e sociale le due comunità erano sostanzialmente omogenee: contigue e digradanti entrambe sulle pendici nord-occidentali del monte Carpegna fino a raggiungere l’alveo del fiume Marecchia, dai 950 ai 200 metri di altitudine, con ovvie affinità geomorfologiche, pedologiche, climatiche, vegetazionali. In entrambe prevalgono boschi e pascoli, con ampie zone di incolto per affioramento di roccia, calanchi, frane. In entrambe è largamente preminente la piccola proprietà coltivatrice, con appoderamento tardivo e imperfetto. In entrambe i nullatenenti sono pochi, ma i pocotenenti molti, e per sfamarsi sono costretti a svernare in gran numero, a Roma soprattutto nei lavori di ‘vigna’, o anche nella cerealicoltura estensiva e nella tenuta del bestiame nella Campagna e nella Maremma laziale.
Altri dati – su densità di popolazione e intensità dell’emigrazione stagionale – sembrerebbero smentire, e in direzioni opposte, quest’affinità: ma opportune riconsiderazioni, che qui sarebbero fuori luogo e misura, varrebbero a ricondurre i due territori a sostanziale uniformità.
Le due comunità, che la geografia ha fatto così simili, la storia aveva profondamente diviso.
Nel 1817, al momento della loro unione, Maiolo è comunità ‘soggetta’ nella podesteria di San Leo, provincia di Montefeltro legazione di Urbino. Antico è exclave lontana del governo di Piandimeleto, lontanissima exclave a sua volta della legazione di Romagna (Ravenna).
È una separazione secolare, che qui non importa ripercorrere in tutti i suoi svolgimenti: basterà ricordare che risale senza interruzione al XII secolo, praticamente all’origine (sconosciuta) dei due castelli. È del 1234 il diploma imperiale in cui Antico figura tra i possedimenti feudali dei conti di Piagnano (che poi saranno gli Oliva di Piagnano e Piandimeleto), mentre già nel 1200 Maiolo è dominio del monastero di San Donato di Pulpiano (Gubbio) che a sua volta lo concederà a vari signori locali; tornato alla Chiesa nella recupera albornoziana, nel 1371 è feudo del vescovo di Montefeltro, poi possesso malatestiano e, dal 1463, dei signori di Urbino (e con Urbino resterà fino alla secessione che dieci anni fa lo ha consegnato a Rimini).
Si dirà che confini e circoscrizioni e giurisdizioni non contano poi tanto: non così dovette sentire, ancora a metà del ’700, Giovanni di Giacomo di Antico, al quale venne sequestrata «una di lui somarra carica di quarti cinque di formentone, sotto nome di fraude per non esservi il libero commercio da un luogo all’altro fuori di questo stato». Non è raro, negli atti giudiziari e nei carteggi fra i vari gradi di giurisdizione, imbattersi in casi come questo, e di ben maggiore gravità. Diversi gli ordinamenti, le imposizioni, gli statuti, le giurisdizioni.
Se una causa riguardante un abitante di Maiolo si risolve a San Leo tanto per il primo che per il secondo grado di giurisdizione (rispettivamente pretore e commissario della provincia di Montefeltro) e solo per il terzo grado a Urbino-Pesaro (Collegio degli uditori), il malcapitato di Antico dovrà recarsi a Piandimeleto, distante due-tre fiumi e due-tre monti, in appello a Rimini, in terzo grado a Ravenna. Senza contare, nell’uno e altro caso, l’ultima istanza a Roma, meno infrequente di quanto si creda soprattutto trattandosi di interessi pubblici.
[segue]