La ceramica da mensa tra XIII e XV secolo nelle Marche settentrionali. Produzione e committenza

Dopo la caduta dell’impero romano e soprattutto dopo il crollo dell’economia mediterranea con la fine delle élites senatoriali e la conquista araba (630 d.C.) dell’Africa settentrionale, dove si produceva il 90% delle merci che venivano importate nella penisola, il panorama ceramico nel nostro territorio risulta abbastanza ridotto con la presenza quasi totalitaria di produzioni locali, per lo più di modesta fattura. Se in cucina si usavano pentole e tegami composti con un corpo ceramico ricco di inclusi e quindi adatto ad essere usato sul fuoco e, per questo, definiti “grezzi”, gli stessi spesso venivano portati anche sulla mensa, magari insieme ad oggetti in legno (o in metallo pregiato per quanto riguarda le classi abbienti). I recipienti usati sulla tavola non avevano una qualsiasi copertura o vernice ed erano del colore della terra, marrone o grigio, spesso scuriti dalla vicinanza sul fuoco. E non era diffuso neppure l’uso di stoviglie individuali: si mangiava piuttosto su grandi piatti o spesso direttamente nei tegami, che venivano portati sulla tavola. A volte si potevano trovare anche alcuni boccali in ceramica ricoperti di una pesante vetrina scura, verde o marrone oppure, più tardi, da una vetrina leggera e sparsa. Dominava invece la ceramica grezza o depurata nuda, cioè senza rivestimento, anche sulle mense più ricche, dove semmai alcuni manufatti potevano essere sostituiti da elementi metallici.

E questo trend prosegue anche dopo il 1000 e almeno fino al XII-XIII secolo. Ma a questo punto siamo agli albori di una nuova civiltà, quella dei comuni. Nei primi anni del XII secolo si va affermando una economia diversa, basata nuovamente sullo scambio delle merci e sulla moneta. Siamo anche ai tempi delle crociate e l’avvento delle crociate porta con sé la scoperta di qualcosa di eccezionale e di importante per quanto riguarda la produzione ceramica. Infatti a seguito dei crociati, di ritorno dalla terra santa, i mercanti riportavano grandi piatti e ciotole meravigliose, bianche, lucenti, colorate, bellissime. Era la produzione smaltata che veniva dall’oriente islamico, la maiolica. Ecco che davanti ad un panorama ceramico grigio e monotono si spalancava un mondo bianco e lucido, ricco di luci e di colori. I primi prodotti, portati dai crociati, vennero usati per abbellire le chiese (i bacini ceramici): i grandi piatti lucenti e colorati incassati nelle facciate e nei fianchi delle chiese si illuminavano con la luce del sole riflettendo la maestà del Signore. Erano così belli e richiesti che presto la chiesa stessa se ne fece promotrice invitando a fabbricarne anche in loco e diventando per la prima e forse unica volta da istituzione chiusa (e strettamente legata alle antiche tradizioni) ad istituzione aperta e rivolta ad un mondo nuovo. Un esempio è nel cantiere della Basilica di S. Francesco ad Assisi che funzionò come polo di attrazione per maestranze specializzate per la realizzazione delle piastrelle in maiolica che decorano la chiesa e che si datano ancora nella prima metà del 1200. E poi Bologna, dove gli esempi precoci di maiolica della metà del XIII secolo sono stati messi in relazione con la circolazione di maestranze specializzate collegate al cantiere della chiesa di S. Francesco. Ben presto dunque le nuove tecniche smaltate cominciarono ad essere acquisite e usate anche dai maestri ceramisti della penisola e dalla decorazione architettonica si passò anche alla fabbricazione di oggetti per l’uso quotidiano. Siamo intorno alla fine del XIII e soprattutto all’inizio del XIV secolo.

La maiolica arcaica, la “ceramica in verde e bruno”

Questa nuova tecnica venuta dall’oriente ricopriva il corpo ceramico già cotto una prima volta (il biscotto), con una vetrina opacizzata con stagno, vetrina che rendeva la superfice bianca e lucida, pronta ad accogliere la decorazione, stesa in due soli colori: il verde ramina e il bruno manganese. Si tratta della “maiolica arcaica” chiamata anche la “ceramica in verde e bruno” proprio per la caratteristica di essere decorata in due soli colori ricavati, il verde dal rame (ramina) e il bruno dal manganese, e prodotta in tutta l’Italia centro-settentrionale. Con questa tecnica cominciano ad essere fabbricate intorno alla metà del XIII secolo, forme chiuse (boccali e boccaletti) e aperte (tazze, ciotole, piatti), destinate ad un uso sulla mensa. La tipologia formale è abbastanza simile inizialmente con l’impiego di un boccale su alto piede (il boccale a piedistallo) e una decorazione costituita da motivi di natura geometrica o vegetale, più raramente figurati, racchiusi entro riquadri delimitati da sequenze, come quella a catenella (una treccia verde attorno al collo dei boccali, tratti verticali in manganese attorno all’ansa) o a spina di pesce. Questa tecnica si diffonde prima a Pisa, in questo caso probabilmente derivata dalla ceramica califfale prodotta in area spagnola tra X e XI secolo, e poi in tutta l’Italia centro-settentrionale. Le varie botteghe artigiane (centri produttivi sono stati riconosciuti a Ravenna, a Bologna, a Reggio Emilia), soprattutto nella fase centrale della produzione, inquadrabile nel XIV secolo, fabbricano tutte prodotti simili, sia da un punto di vista formale che decorativo: i boccali a piedistallo nel XIV secolo vengono sostituiti con altri a piede basso e forma biconica e in alcune zone si ha un notevole incremento della produzione di forme aperte, in particolare ciotole e catini.

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