Il volume vede la luce come ultimo di una serie nutrita di pubblicazioni dedicate ai Libri iurium dei comuni marchigiani: Ancona, Fermo, Iesi, Ascoli, Camerino, Macerata, Fabriano. Opportunamente ne fa cenno il direttore della collana Giuseppe Avarucci nella Premessa.
E dire che questo è il più antico libro marchigiano di tale tipologia; dunque la sua edizione era nelle cose, era attesa in qualche modo. Bene hanno fatto allora Maela Carletti e Francesco Pirani a ‘buttarsi nell’impresa’, con risultati davvero convincenti quanto a edizione, descrizione, apparati e introduzione. Quest’ultima si compone di due parti: Francesco Pirani ragiona di Scrittura documentaria e storia comunale mentre Maela Carletti scrive di Descrizione codicologica e modalità redazionali. Partendo da Pirani, quello che interessa l’autore non è soltanto delineare un profilo storico del comune di Osimo nel periodo di pertinenza del Liber (dagli ultimi anni del XII secolo a circa la metà del XIII) quanto piuttosto «annodare i fili fra la vicenda storica e la tradizione documentaria» (p. XII). E così deve fare il bravo storico, come è Francesco Pirani, che ha saputo intrecciare sapientemente quei fili, come aveva fatto giusto venti anni fa nel caso del comune di Fabriano.
Preliminarmente e in via generale Pirani chiarisce che il Libro rosso di Osimo, appartenendo alla tipologia documentaria dei Libri iurium, può a ragione definirsi «una raccolta di atti notarili che asseriscono i fondamenti politici e giurisdizionali del comune fra XII e XIII secolo» (p. XI) o, per dirla con le parole di Maela Carletti, è l’insieme dei «documenti più idonei a garantire e giustificare competenze e prerogative del comune» in quel preciso arco cronologico (p. LXI). Il comune, di Osimo come di altre città, si premura di far copiare in cartulari, cioè in quaderni appositi, quegli atti fondanti del suo essere soggetto politico, istituzione pubblica, e lo fa utilizzando esperti nella scrittura cioè notai. I Libri rossi dunque tecnicamente sono la trascrizione in quaderno delle pergamene sciolte contenenti atti relativi al comune, prima di tutto per affermare la natura giuspubblicistica dell’ente da poco nato ma anche a scopo pratico, per salvaguardare i testi in caso di smarrimento degli originali o per preservarli da maneggiamenti.
Il Liber è una sorta di «tesoro del comune», come lo ha definito Attilio Bartoli Langeli riguardo all’esemplare di Fabriano, perché le carte che lo compongono attestano in maniera indiscutibile i diritti, le prerogative, i poteri del comune.
E torna alla mente la definizione che Paul Racine dette di un Liber famoso, il registrum di Piacenza, come «specchio della società comunale».
A ben guardare, la stessa definizione fu usata da Severino Caprioli riguardo allo Statuto di Perugia del 1279, nella monumentale e per certi versi pioneristica edizione di quel testo che vide molti curatori insieme, tra cui Bartoli Langeli e Sonia Merli.
Le due tipologie documentarie non sono distanti: un libro di diritti, il Liber iurium, e un libro di regole a difesa anche di quei diritti, lo Statuto. Li lega il comune interesse per la sovranità della città, che passa per un attento controllo del territorio sul quale la stessa vanta diritti, gli iura appunto.
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