Il Fondo Diplomatico dell’Archivio di Stato di Fermo, dati e analisi preliminari

Il Fondo Diplomatico dell’Archivio di Stato di Fermo raccoglie la documentazione prodotta dalle principali istituzioni pubbliche del territorio a partire dal Medioevo fino all’Unità d’Italia.

Le carte del Diplomatico sono confluite dal 1959 nell’attuale luogo di conservazione, la sezione di Fermo dell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, poi Archivio di Stato di Fermo dal 2009.

La parte più consistente, quella più consultata e studiata è costituita dalle pergamene conservate in antico nel Convento dei Predicatori e regestate dal paleografo belga Michael Hubart tra il 1623 e il 1624. Vi sono poi nuclei di documentazione sfuggiti all’ordinamento dello studioso belga che costituiscono una partizione non secondaria dell’attuale Diplomatico. Il Fondo, infatti, non presenta uniformità di soggetto produttore e atti pubblici e privati sono mescolati: documenti del vescovo sono raccolti insieme a quelli del Comune, del Legato pontificio e di monasteri o altre istituzioni religiose. Le carte dopo l’Unità d’Italia subiscono vari trasferimenti e alcuni versamenti che sommano al nucleo principale poco fa citato alcuni documenti di famiglia, quelli della Congregazione di Carità e le pergamene di comuni del territorio come Montelparo e Rapagnano.

Questo lavoro si configura come una prima ricognizione della documentazione presente, con cenni ad alcuni degli archivi che hanno formato il Fondo e ai principali studi storici editi o inediti o alle trascrizioni di documenti provenienti dal Diplomatico. Obiettivo primario sarà pertanto di iniziare a inserire le informazioni all’interno di una banca dati informatica, quale strumento di corredo dell’Archivio di Stato di Fermo che contenga i regesti dei documenti del Fondo. Il dato quantitativo così fornito costituisce la base di ulteriori riflessioni: una distinzione può essere effettuata non solo tra i supporti pergamenacei e cartacei, ma anche tra i formati a sottolineare come il potenziale di un registro, un volume o un rotolo non può essere lo stesso di un documento sciolto. L’analisi relativa a grandi quantità di materiale impone una resa schematica dei risultati per cui si farà impiego di grafici in grado di rendere la chiarezza di dati complessi.

Il documento più studiato dell’intero archivio è il Codice 1030, una raccolta di copie di carte vescovili riguardanti proprietà e diritti dell’episcopato e raccolti in antico in un’unica unità di condizionamento.

Il Codice 1030 è solo una parte dell’archivio del vescovo; si tratta di un codice membranaceo di medio-grande formato (mm 430 × 300, spessore del dorso mm 40) che contiene più di 400 documenti su cui si fonda il potere temporale dei vescovi fermani tra la fine del X e la metà del XIII secolo circa.

La grande importanza e l’interesse giuridico-amministrativo che presenta il codice già in età precoce hanno suscitato l’attenzione di vari studiosi: circa trent’anni dopo il lavoro dell’Hubart viene realizzata una prima trascrizione e nella prima metà del secolo successivo per volontà dell’arcivescovo Borgia viene commissionata a Domenico Maggiori un’altra copia da cui emerge il valore storico del codice. Lavori più recenti risalgono agli anni ’70 del XIX secolo quando Marco Tabarrini trascrive una parte consistente del Fondo Diplomatico e pochi anni dopo Raffaele Foglietti ne riporta l’indice espungendo i duplicati, ma ribadendone l’importanza storica.

L’attenzione per il Codice 1030 si è sviluppata con la tesi di laurea di Delio Pacini. Data alle stampe nel 1963, riporta la trascrizione dei primi 25 documenti compresi cronologicamente tra il 977 e il 1030.

Tra il 1965 e il 1972 si sono susseguiti i lavori di tesi di Carlo Tomassini, Raffaella Viozzi e Gabriella Marziali che hanno mantenuto vivo l’interesse fino all’edizione del Codice alla fine degli anni ’90 del secolo scorso a cura di Delio Pacini, Giuseppe Avarucci e Ugo Paoli.

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