Silvia Gaetani, Il Capitale Umano nella geopolitica della Grande Guerra… ed anche i Marchigiani, nel fango, fra i gas, sotto un lenzuolo di neve e di ghiacci, Andrea Livi editore, Fermo 2019, 756 p., ISBN 9788879694230
La motivazione che ha spinto l’autrice ad interessarsi di questo periodo storico è stata il ritrovamento di appunti e di una completa collezione di libri sulla Grande Guerra, con note scritte a margine, lasciate da suo nonno, che aveva partecipato alla Prima guerra mondiale. Partendo da una solida base geopolitica, fino alla realtà delle trincee, dove muoiono tutti gli ideali e dove fioriscono anche grandi azioni eroiche, il libro narra le vicissitudini del Capitale Umano, che volontariamente o involontariamente, si trova ad agire nei diversi schieramenti e teatri di guerra: per terra, nei cieli e sui mari.
L’autrice ha voluto presentare l’atmosfera, il quadro culturale e politico che portò alla Grande Guerra, come pure la formazione dei primi partiti, dei primi sindacati, etc.
È importante ricordare che anche i marchigiani sono stati pienamente protagonisti dei fermenti politici qui iniziati, poi generalizzati. Questi fermenti erano iniziati con la “Settimana rossa” svoltasi in Ancona il 7 giugno 1914, preceduta dal Congresso nazionale socialista nel primo semestre del 1914 e con le manifestazioni popolari antimilitariste esplose soprattutto nelle Marche e in Romagna. Inoltre, le Marche avevano già avuto perdite di uomini fra i partecipanti al conflitto, in terra di Francia, nelle fila dei “volontari garibaldini”. Esponenti di spicco marchigiani erano anche tra gli organizzatori di grandi manifestazioni sindacali e antimilitariste, vedi Filippo Corridoni, che poi lottò contro il neutralismo giolittiano e nel maggio 1925 si arruolò volontario.
Con la dichiarazione di guerra dell’Italia all’Austria-Ungheria, del 23 maggio 1915, che prevedeva la scadenza dell’ultimatum alle ore 9,00 del 24 maggio, le nostre truppe erano pronte a passare il confine e secondo il piano di guerra del nostro schieramento, elemento dinamico della nostra fronte doveva essere il tratto Giulio, mentre la fronte Tridentina, doveva essere di difesa strategica, accompagnata da offensive tattiche parziali atte a migliorare la nostra posizione.
Tuttavia, l’Austria-Ungheria attaccò prima della scadenza effettiva dell’entrata in guerra in due zone: in Cadore, a Landro, dove il 23 maggio 1915, alle ore 7 di sera, all’Imperial regio Ufficio postale di Landro venne consegnato, nelle mani di Giovanni Baur, maestro di posta, il dispaccio con cui si comunicava che l’Italia aveva dichiarato guerra all’Austria, ma fu l’Austria a far fuoco per prima con due colpi di cannone che falciarono due nostri alpini e ad Ancona e sul litorale romagnolo-marchigiano. In particolare, la città di Ancona, disarmata e dichiarata indifesa, con i Regi Decreti dell’8 novembre e del 13 dicembre 1914, non si era riusciti a fortificarla in tempo. L’Adriatico era tornato protagonista in questo momento storico, ma le forze italiane erano dislocate soprattutto a sbarramento del basso Adriatico. Ancona, quindi, alle ore 3,40 del lunedì 24 maggio, venne bombardata.
Con questo attacco, si seppe che Vienna, ben informata sulla situazione politica italiana, era convinta di rafforzare le spinte qui contrarie alla guerra e che volesse mostrare, inoltre, in tale occasione, l’efficienza austriaca, al fine di sfruttarla a fini propagandistici. Tale atto produsse, invece, l’effetto contrario nella popolazione, che scese nelle piazze al grido “viva la guerra” .
L’autrice ha voluto, altresì, seguire i nostri soldati e, in particolar modo, i soldati marchigiani, sui vari fronti di guerra italiani ed esteri: fronte Galiziano, Macedone e Albanese, nonché Francese, Russo (Siberia e Murmania), Palestina fino ai centri di smistamento nella Concessione italiana in Cina (Tien-tsin), mostrando la loro vita nelle varie tipologie di trincea: scavate tra il fango e malsane, posizionate ad alte altitudini in montagna fra la neve e i ghiacci, oppure la nostra prima linea ad esempio sul Carso, dove la pietra era “così dura” che amplificava mortalmente le granate del fuoco nemico (e amico), che come ebbe a dire il soldato Pietro Aiudi da Fossombrone, del 2° Artiglieria pesante campale, quando il suo reparto si attestò dietro il Piave, gli parve di fare “il gran signore”, perché “era tutta terra soffice e i proiettili dei cannoni facevano plof”, mentre sul Carso, una cannonata poteva ammazzarti anche da alcuni chilometri di distanza. E ancora, la vita nelle trincee invase per la prima volta dai gas, o nei duri momenti di fame, quando il rancio non arrivava.
Troverete la descrizione di tutto l’apparato in funzione nelle retrovie: ospedali, ospedaletti, magazzini di viveri, munizioni ecc. Erano presenti anche le Case del Soldato, luoghi di ritrovo, lettura e scrittura della corrispondenza ecc, fondate dal Cappellano militare Giovanni Minozzi (di Preta, Amatrice) al fronte, seguite poi dalle Case del Soldato di Bologna, grande snodo di truppe.
La Brigata Marche era già stanziata nel Cadore allo scoppio della guerra, la Brigata Macerata era sul Carso. Una puntualizzazione: oltre alle Brigate con i nomi delle città marchigiane, i nostri soldati erano dislocati nelle Brigate Grosseto, Pistoia, Pisa e in seguito con la decimazione di alcune Brigate, i soldati marchigiani vennero fatti confluire in altre. Oltre ai fanti, c’erano i nostri soldati in Marina (arruolati dalla Capitaneria di Porto di Ancona), in Aviazione, i Cappellani militari.
Ci troviamo alla fine del 1915 e c’erano già state battaglie sanguinose con perdite già notevoli e si era iniziata la lotta contro i terribili reticolati austriaci.
Poi eravamo passati ad una guerra di posizione, dove i soldati furono impiegati per costruire strade, mulattiere, caverne, teleferiche e per trasportare cannoni.
Sul monte Peralba (Alpi Carniche) fu ferito, in questo periodo, il pittore Licini di Monte Vidon Corrado (Fermo).
Sul Carso (San Michele) si aggiunsero i gas. Nelle trincee tristemente famose “delle frasche”, “dei morti”, ecc. c’erano fra le altre, la Brigata Macerata e la Brigata Sassari, che ebbero assegnata la Medaglia d’Argento alla Bandiera. Le perdite su questo tratto di fronte, allora, furono 50.000 uomini per parte.
La nostra marina era impegnata anche in Adriatico e nel 1916 dovette salvare l’esercito serbo, che era riuscito ad arrivare, via terra, in Albania. La Marina Italiana, riuscirà a portare a termine l’operazione, effettuando 102 viaggi, con l’impiego di 45 piroscafi e il supporto di francesi e inglesi.
Intanto, sul fronte terrestre, si procedeva anche alla conquista del Passo della Sentinella, di Cima Lana (Cadore), che fu fatta saltare. Troviamo qui le imprese di grandi scalatori italiani. Una dura guerra di mine era attuata senza tregua.
Nel 1917, anno della rivoluzione russa, dell’ingresso degli Stati Uniti nel conflitto e della disfatta di Caporetto, fu anche il grande anno della nostra marina e dell’aviazione. Inoltre, l’Italia allestì un servizio di controspionaggio, con a capo il Capitano di Vascello Laureati di Grottammare (e la cosa diede buoni frutti), che fece una spedizione a Zurigo, per riuscire a smascherare i sabotatori interni. Infatti, il nostro controspionaggio scoprì l’esistenza di una rete terroristica che faceva capo al consolato austro-ungarico di Zurigo con a capo l’ufficiale dell’Imperial-regia marina, Rudolf Mayer, alias Rudolf Breier, alias Schostell, alias Hoffmann, alias Dario Boffi con copertura di vice console a Zurigo ed aveva l’ufficio all’ultimo piano (l’edificio del consolato era tra la Seidengasse ed il civico 69 della Bahnhofstrasse di Zurigo).
Questo fu anche l’anno dell’episodio di Carzano, in Valsugana: il tenente sloveno Pivko e alti ufficiali Cechi passarono nelle nostre fila e prepararono un piano che avrebbe risolto la guerra (fu tentato il 18-19 settembre), altri disertori di altre nazionalità dell’Impero confermarono la tesi dei congiurati, era imminente un attacco, due Romeni si presentarono con una copia dei piani d’attacco austriaci. Il generale Lalatta, narrerà la vicenda che sarà resa pubblica solo dopo la Seconda guerra mondiale. L’esito fu infelice e fu un errore, ma poteva essere la “Caporetto austriaca” e rimase come un sogno (triste epilogo, Hitler, nel 1939 fece fucilare tutti i congiurati unitamente ai componenti della Divisione Cecoslovacca, che aveva combattuto con l’Italia).
Imperversava la “spagnola”, oltre alla malaria in Macedonia.
I nostri aerei, oltre a svolgere da copertura aerea ai nostri soldati, si occupavano di lanciare i “volontari della morte” coi paracadute, per raccogliere informazioni sul fronte nemico e, dagli aerei si scattavano le foto delle linee nemiche: fra i grandi fotografi di guerra troviamo il nostro maceratese di adozione Carlo Balelli.
Fra gli assi della nostra Aviazione, ricordiamo il conte Cesare Baccili (Med. d’argento al V.M. e medaglia di bronzo), di famiglia originaria di Fermo, tornato dall’America per arruolarsi e morto nel 1917, nella Dodicesima battaglia dell’Isonzo; inoltre, il pilota Censi di Fermo (Med. d’argento al V.M), che faceva parte della squadriglia del famoso volo su Vienna di D’Annunzio del 1918.
Naturalmente, nel libro troverete le storie di vita e le gesta, non solo di soldati italiani e stranieri, ma anche di molti altri soldati marchigiani.
S.S.