Identità civica e metamorfosi di un mito: Jesi “città regia” e l’obliqua memoria di Federico II di Svevia

Nel luglio 2018 l’Amministrazione comunale di Jesi ha indetto un concorso di idee per la realizzazione di un logo destinato alla promozione del titolo di “Jesi Città Regia”. Secondo la delibera consiliare n. 116/2017 che istituiva il concorso, il logo:

ben contestualizzato dal punto di vista turistico e non solo, potrebbe diventare un potente brand per la nostra città, utile a valorizzare anche tutte le eccellenze del territorio, costituendo uno stimolo che potrebbe spronare a promuovere e valorizzare una regalità proficua e costruttiva ispirata alle nostre radici, per guardare con solide basi al futuro.

Al concorso hanno preso parte oltre 170 artisti e ne è risultato vincitore il grafico umbro Simone Scimmi, che ha dichiarato in un’intervista di essersi ispirato «ai dettagli delle strade, dei palazzi, delle decorazioni, del centro storico, dei colori della città». Nel dicembre 2018 le proposte elaborate sono state esposte in una mostra temporanea allestita all’interno del Museo multimediale Federico II Stupor Mundi di Jesi, inaugurato nel 2017. Ospitato nello storico Palazzo Ghislieri, prospiciente sulla piazza ove il 26 dicembre 1194 avvenne secondo la tradizione la nascita prodigiosa dello Svevo, il museo si propone oggi ai visitatori come «un unicum assoluto che rievoca la vita e l’opera dell’Imperatore Stupor Mundi».

Il certamen per l’elaborazione grafica del logo postula un legame indissolubile fra la città di Jesi, la memoria civica federiciana e la titolazione regale. La concatenazione logica sottesa al discorso può essere sintetizzata nel modo seguente: 1) Federico di Hohenstaufen nacque a Jesi; 2) questi omaggiò il suo luogo natio con il titolo di città regia; 3) oggi la sua città natale ne celebra la memoria quale fattore identitario. In realtà, le tre relate affermazioni si collocano su piani assai diversi: il primo colon fa riferimento a un mero dato fattuale, sul quale tutte le fonti antiche concordano; il secondo contiene un assunto storicamente infondato, frutto di una invenzione della tradizione; il terzo compendia una memoria civica plurisecolare assai frastagliata. Il testo che segue avrà dunque l’obiettivo di dipanare i complessi e talora contraddittori rapporti fra storia e memoria, applicata a un case study che mostra una grande libertà creatrice della memoria.

Il tema non è certo originale, poiché un profluvio di studi si è applicato negli ultimi decenni a indagare l’attualizzazione del passato attraverso l’esercizio della memoria. Dall’idea di ‘comunità immaginate’ elaborata da Benedict Anderson, passando per le riflessioni di Jürgen Habermas su un ‘uso pubblico della storia’, o attraverso il concetto di ‘regime di storicità’ proposto da François Hartog, fino alla nozione di ‘retrotopia’ di Zygmunt Baumann, un’intera generazione di studiosi ha posto al centro della riflessione il tema dello sguardo attualizzante sul passato, ossia come esso viene veicolato nel discorso pubblico per fondare le scelte del presente. La memoria aspira per sua stessa natura a farsi identitaria: essa pretende di definire e soprattutto di dire ciò che siamo sulla base di alcuni fattori che hanno segnato il nostro passato; non certo del passato in toto con la sua magmatica complessità, ma di quegli aspetti che è capace di isolare, consegnando all’oblio tutto il resto. Nella costruzione di un profilo identitario, pertanto, «il nodo tra l’identità come permanenza e la storia come mutamento continua a starci davanti». Su una diversa scala l’identità di un popolo o di una comunità, oltre a essere di per sé plurima e mai monolitica, non si dà una volta per tutte, ma subisce continue riscritture e rielaborazioni, configurandosi come un perenne palinsesto.

Il caso preso in esame concerne la memoria di Federico II nella città che gli diede i natali, in connessione al titolo di ‘città regia’. Esso mostra grandi potenzialità euristiche. Da un lato consente di esplorare la creatività della memoria, di indagare i suoi tortuosi sentieri, di seguire l’intermittente anelito della comunità marchigiana a raccordarsi con l’imperatore svevo con modalità, funzioni e obiettivi difformi nel tempo. Dall’altro esso entra in risonanza con campi di ricerca particolarmente fecondi: il primo, più vasto, è quello del medievalismo, una disciplina dotata di un proprio statuto epistemologico teso a indagare le rappresentazioni e gli usi postmedievali della storia del millennio medievale; l’altro, più puntuale, è quello della memoria sveva. Poiché quest’ultima si è plasmata in modo assai difforme nelle diverse parti d’Italia – polarizzandosi essenzialmente al Sud e in particolare in Puglia – il caso di Jesi contribuisce a fornire un tassello importante all’interno di un mosaico variegato. Per il caso jesino, invero, non sono mancati gli scritti che hanno affrontato di petto il tema della memoria regia e federiciana, ma questi hanno adottato una griglia di lavoro fondata su criteri ormai sterili di verosimiglianza storica e di legittimità del titolo regio, postulando un rigido rapporto dicotomico fra storia e leggenda.

Il mio approccio muove invece da diversi presupposti e mira a cogliere la libera creatività della memoria nel lungo periodo, dagli albori dell’età moderna fino a oggi, tenendo costantemente presenti alcune questioni di fondo: si tratta di una memoria forte o debole, elitaria o popolare, condivisa o divisiva? Ovviamente ogni elaborazione culturale si colloca su una scala di grigi all’interno delle schematiche alternative ora proposte, ma converrà palesare fin da ora i fili conduttori della ricerca. Per entrare in medias res sarà utile dichiarare anche un’altra scelta di metodo: quella di proporre dapprima due percorsi paralleli fra la memoria federiciana e quella del titolo regio, così da mostrare come essi finiscano per intrecciarsi soltanto in tempi relativamente recenti, pur avendo scaturigini diverse. Sulla scorta della lezione di Michel Foucault nel suo saggio L’archéologie du savoir, l’oggetto del discorso si appunterà dunque soltanto marginalmente ai suoi contenuti – ossia il titolo di ‘città regia’ oppure il ruolo di Federico II nella storia di Jesi – quanto invece sulle pratiche e sulle regole formali, tacite o esplicite, che regolano la rappresentazione di quel passato, storico o mitico che sia, attualizzandolo. [segue]

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