I Nevaroli lepini

Dal numero e dalla qualità dei ritrovamenti sappiamo che una vasta porzione geografica del Lazio meridionale, oggi suddivisa tra le province di Roma, Latina e di Frosinone, fu abitata già in epoche lontanissime: il celebre cranio di Homo neanderthalis, ritrovato nel 1939 in una grotta del Monte Circeo e risalente a circa 60.000 anni fa, è stato quasi oscurato dalla sensazionale scoperta, avvenuta nel 1994, del cranio dell’Uomo di Ceprano, un Homo erectus vissuto circa 800.000 anni fa, considerato non a caso il “nonno” d’Europa. Così all’alba della presenza umana sul suolo italico, il rapporto delle prime popolazioni con le sollecitazioni ambientali di quei territori impervi e selvaggi ha gettato le basi di quella che, in tempi a noi più vicini, può essere definita la cultura, materiale e immateriale, dei territori lepini, un luogo montuoso, delimitato dai Colli Albani a nord-ovest, dalla valle del fiume Amaseno a sud-est, dalla valle del fiume Sacco a nord-est, dalla pianura pontina a sud-ovest.

Questa breve premessa solo per ricordare da quanto tempo, in questi territori è riscontrabile non solo la presenza dell’uomo, ma anche continuativamente, dall’epoca preromana ai giorni nostri si riscontrano i segni di una costante e vicendevole relazione tra l’elemento antropico e l’ambiente lepino, contraddistinta da profondi cambiamenti periodici.

La storia delle popolazioni lepine, costituita principalmente da pastori e contadini, è fatta di miseria e durezza, di fame, di oppressione e di sfruttamento, di devastazioni e distruzioni, per non parlare dell’ultimo male: la malaria. Tutto ciò ha limitato e ritardato fortemente la loro evoluzione demografica, socioeconomica e culturale, senza tralasciare le altre conseguenze della povertà diffusa come lo spopolamento e l’abbandono di abitazioni, località e perfino centri minori.

Questa grave situazione, una vera e propria questione sociale presente diffusamente in molte regioni, non solo nell’area lepina, è stata denunciata in una famosa lettera enciclica, la Rerum Novarum del 1891, da papa Leone XIII, originario di Carpineto Romano. Il pontefice che conosceva bene i problemi e le difficoltà della povera gente e in particolare di quella dei territori lepini, avendo preso coscienza delle condizioni di crisi e di disagio morale, oltre che materiale ed economico, in cui le masse di lavoratori erano venute trovarsi a seguito del vertiginoso sviluppo industriale.

Nell’ottica di far emergere le tracce di come questo complesso contesto sociale e territoriale abbia dato vita a forme di organizzazione economiche e lavorative, s’intende porre l’attenzione in particolare su una forma di commercio, quello della neve, in grado non solo di creare una certa forma di vitalità socio-economica, ma anche di mettere in connessione diversi ambiti spaziali, quello montano e quello della pianura e della costa, mediante l’apporto della neve dei Monti Lepini al commercio ittico.

Questi territori si caratterizzano, infatti, oltre che per specifiche attività agricole – per esempio la produzione di castagne e di olio – per il commercio di ghiaccio prodotto dai commercianti di neve, i “nevaroli”.

Tra i monti Semprevisa e Capreo infatti «Le donne raccoglievano la neve con recipienti di legno, li portavano in testa e li svuotavano dentro un pozzo mentre gli uomini la pestavano con “gli pegli” poi la coprivano con foglie e, infine, la tagliavano con l’accetta e la caricavano dentro sacchi sui muli che viaggiavano di notte; arrivavano anche a Terracina e qualcuno portava il pesce con i carretti, qualcuno arrivava anche a S. Felice Circeo fino agli anni ’45-’50».

Questa attività riforniva di ghiaccio i centri dei monti Lepini quali Velletri, Sezze fino ai paesi della pianura pontina e della costa e si rivelava centrale per la fornitura del pesce. Tale meccanismo di conservazione e commercio del pesce si rivelava fondamentale inoltre quando durante la Quaresima occorreva osservare il divieto di mangiare carne. Tracce di questo commercio del freddo risultano da fonti documentarie di varia natura.

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