A Fabriano i nomi dei primi cartai figurano in alcuni atti del 1283 e del 1291 conservati in un protocollo del notaio Berretta. È questa la prova che nella seconda metà del Duecento a Fabriano sono presenti artigiani addetti alla fabbricazione della carta bambagina e partecipano alla vita sociale ed economica locale. Al protocollo sono allegati 5 frammenti cartacei non filigranati. Il primo di questi è datato 1283, il secondo 1286, il terzo 1290, gli ultimi due 1296 e 1301. Dei cinque frammenti indicati quello datato 1283 risulta essere il documento cartaceo più antico, privo di filigrana, conservato nell’Archivio Storico Comunale di Fabriano. Opportunamente analizzato nel 1883, il frammento risultò parte di un foglio fabbricato con fibre ricavate da stracci di canapa e trattato con colla di gelatina animale. D’altro canto tutte le analisi, anche recenti, dei campioni di carta fabbricati tra il 1283 al 1293 confermano che i fabrianesi usavano stracci di canapa e lino e che i documenti cartacei risalenti a quell’epoca presentano tutti le stesse caratteristiche tecniche e nello stesso tempo lasciano intravedere l’evoluzione qualitativa della produzione verificatasi in poco più di un decennio.
In sede storiografica è confermato che a Fabriano nella seconda metà del XIII secolo la carta compie un salto di qualità dovuto a nuovi processi di lavorazione che, differenziandosi dalle tecniche arabe, generano una tipica manifattura locale e una nuova originale realtà artigianale. In altri termini nasce un nuovo tipo di carta che in quell’epoca non trova riscontro in altre aree italiane di antica tradizione cartaria. Nasce così in Italia la carta occidentale. A Fabriano, come in altri centri d’Italia, nel Duecento si fabbrica carta con i metodi arabi, gli stessi praticati quasi un secolo prima nella Spagna musulmana dove si diffondono senza subire sostanziali mutamenti tecnico-qualitativi. Si praticano le stesse tecniche che si tramandano senza sostanziali modifiche. In Italia però accade qualcosa che non trova riscontro in altre regioni occidentali d’Europa. A Fabriano per trasformare lo straccio in “pasta da carta” o “pisto”, ossia per ridurre il tessuto a fibra elementare, i cartai utilizzano le pile idrauliche a magli multipli e per il collaggio dei fogli incominciano a sostituire la colla amidacea con la gelatina animale ricavata dal “carniccio”, scarto delle locali concerie, infine perfezionano la forma o modulo per la lavorazione a mano dei fogli e introducono l’uso del segno (signum), poi denominato filigrana.
Sono queste le principali innovazioni tecniche che caratterizzano e concludono il periodo arabo-italico del viaggio storico della carta dall’Oriente all’Occidente. Durante quel periodo, che inizia nel XII secolo e si estingue verso la fine del Duecento, in Italia si usa e si commercia carta araba proveniente dal Medio Oriente e dalle coste dell’Africa Settentrionale. Poi si comincia anche a fabbricare carta araba in Sicilia, nelle aree dell’Amalfitano, a Genova, nel Veneto, in Emilia, in Toscana, nelle Marche a Fabriano. Però soltanto l’area fabrianese, benché collocata nell’entroterra marchigiano fra i monti dell’Appennino, svolgerà un ruolo di primo piano nel perfezionamento delle tecniche di lavorazione della carta e nella diffusione del prodotto. Anche Federico II imperatore si serve di carta araba, ma nel 1231 prescrive che tutti i pubblici documenti vengano d’allora in poi scritti in pergamena. Un divieto evidentemente fondato sulla poca durevolezza della nuova materia scrittoria, del resto contemplato anche nelle legislazioni comunali dell’epoca, come ad esempio, nello statuto del comune di Padova. Questi divieti presumono tutti l’utilizzazione di carta araba, anche se fabbricata in Italia con le tecniche arabe, ossia con l’impiego di colle derivate da sostanze amidacee: farina di frumento o di grano saraceno con la quale venivano trattati i fogli al termine della lavorazione per renderli adatti alla scrittura. Un trattamento che, indipendentemente dalla qualità della materia prima – quasi sempre stracci di canapa e lino trasformati in pasta da carta ossia ridotti a fibra elementare con il prolungato battere in un mortaio di pietra azionando a mano a mano il pestone di legno – favorisce il deterioramento dei fogli di carta in tempi brevi in quanto offre un terreno favorevole allo sviluppo dei microrganismi. Non va inoltre ignorata la differenza e spesso la repulsione del mondo cristiano per i prodotti provenienti dai paesi arabi o fabbricati dagli ebrei.