I borghi: una matrice antica per rifondare una comunità moderna

Rammentando i percorsi di “Dove, una città”, titolo della rubrica di un mensile marchigiano degli anni Novanta (“Piccole città”) curata da Gianfranco Bucich, potrebbero essere riformulati alcuni quesiti, chiedendosi: dove, quando e come nasce un paese? Il paese è la comunità dei suoi abitanti? O la comunità è qualcosa di pre-esistente? È stata un’esigenza funzionale, la necessità di dare risposta a bisogni o trarre vantaggio da qualcosa, a far sì che si creasse un insediamento, o qualcosa di irrazionale aveva decretato la sacralità di un luogo? Tentare di risalire alla causa originaria vuol dire risalire le radici di un particolare organismo, ricostruire i passi nella storia. Ma procedere nella lettura storico-antropica di un territorio vuol dire che in precedenza si è predisposta una macchina ottica, realizzato parametri, a cui bisognerà attenersi cercando una risposta.

Potrebbe forse essere di aiuto mettere a tema l’idea di comunità e vedere come è stata diversamente declinata la sua essenza in un confronto tra passato e presente (e futuro) che lascia pochi dubbi sull’importanza delle strutture economiche dominanti e la loro impronta sociale. Diventa a questo punto necessario il confronto tra gli antichi insediamenti e gli esiti storici dello sviluppo urbano avvenuto per varie tipologie nelle città e cittadine, e capire se si sia trattato di evoluzione o involuzione.

Per capire bene ciò che si rischia di smarrire occorre mettere a fuoco lo sguardo su quanto sta accadendo in quell’incredibile fenomeno che è l’urbanizzazione planetaria, tanto osannata quanto temuta. Per sintetizzare questo percorso evolutivo potremmo prendere in considerazione un processo esemplare, ovvero il caso sudamericano, dove alla devastazione delle comunità rurali, basate certo su un’economia di sussistenza, hanno fatto seguito le favelas.

Anche il caso della città, come quello di tutte le strutture in cui la società si manifesta, riassume ed esalta l’organizzazione capitalista, che imprime a qualsiasi realtà il marchio della propria natura, plasmandola a sua immagine. La mappa di ciò che è diventato città è dunque disegnata dal mercato e dalle sue inesorabili leggi: ovvero tutto è finalizzato a un’esasperata ricerca di utile, che si traduce nella cruda quantità poco interessata alla qualità, ovvero la maggior resa col minore investimento possibile; tutto il resto non conta. Questa contabilità imbrigliata da un presente senza alcuna visione di futuro, trova purtroppo riscontro nel calcolo politico, schiacciato dall’immediatezza della rendita in termini elettorali.

Quanto viene prodotto da un’economia senza prospettiva tende a separare, nel senso alienante, le funzioni della vita e dei tempi della città (la produzione, il tempo libero, lo svago) per segmenti sempre più parcellizzati e ghettizzanti, dove meduse di cemento si manifestano in forma di quartieri dormitorio o centri commerciali; dove tutto sembra realizzato in funzione delle auto e non degli abitanti; dove persino attività come quelle turistiche, spinte al di là di quanto sia ragionevole (le enormi navi da crociera fatte entrare nella laguna veneziana), finiscono non solo per sortire effetti devastanti, ma per stravolgere l’identità dei luoghi. La stessa evoluzione tecnologica, che permette di riportare il lavoro in uno spazio domestico, trova quest’ultimo non più inserito in un contesto sociale.

Si provi ora, simmetricamente, a considerare la dislocazione residenziale delle classi agiate, anzi ricche (data la sparizione del ceto medio), e si veda a quali sorprendenti constatazioni si possa giungere. Analizzando le varie tipologie residenziali, tanto legate alle abitazioni quanto alla socialità, si perviene comunque al medesimo risultato: ovvero a una fuga dall’opprimente ammasso di latta e cemento, vissuto eventualmente solo part-time, e sempre comunque in condizioni-isola speciali, tanto per lavoro quanto per abitazione: così l’ufficio o l’appartamento ubicati nel grattacielo di una metropoli non sono mai sedi generalmente comprensive, ma contenitori di segmenti di vita, da cui eventualmente è sempre possibile prendere rapidamente le distanze, per trasferirsi in luoghi completamente diversi.

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