Gli affreschi ritrovati nel Palazzo dei Priori di Fermo e il loro autore

La casuale scoperta degli antichi affreschi nella «sala del suffitto», oggi meglio nota come Sala dei Ritratti, è una delle sorprese più liete che i lavori di consolidamento potessero apportare alla valorizzazione di una città, ricchissima dal punto di vista storico artistico, ma spesso trascurata dagli studi.

L’occasione mi offre l’opportunità di abbozzare brevemente l’inedita storia della commissione e di avanzare un’ipotesi per il nome del pittore che la realizzò – il quale credevo finora di dover annoverare tra i tanti artisti, attivi nel territorio, citati nei documenti ma privi di un’identità tangibile – con la speranza di tornare più approfonditamente sulla vicenda quando gli affreschi saranno del tutto svelati.

Il 12 dicembre 1626, a conclusione dei lavori di ampliamento e rinnovamento del palazzo sede delle magistrature civiche, Ottavio Rivarola, vicegovernatore di Fermo per conto del cardinale Francesco Barberini dal 1624 al 1627, rivolgeva al Consiglio l’invito a realizzare «la pittura dei Castelli dello Stato». I Priori accoglievano la proposta deliberando l’esecuzione di un fregio raffigurante le Vedute della città di Fermo e dei castelli dello Stato da condurre nel «salone nuovo», l’attuale Sala dei Ritratti e scegliendo, come usuale, tre gentiluomini per sovrintendere all’impresa.

L’identificazione del “salone nuovo” in cui doveva essere eseguita la decorazione con l’attuale sala dei Ritratti, sita nell’ala risultante dall’ampliamento primo secentesco del palazzo priorale, è esplicito nella stipula del contratto con i muratori Francesco e Vincenzo Piccioni che dovevano eseguire la «suffictam in Aula sive sala Magna […] noviter constructa et fabricata versus Platea Sancti Martini, et bona Archiepiscopatus versus mare», al cui compimento era subordinata la messa in opera dell’affresco. Dalla presenza di questo tipo di copertura costituito da ampi cassettoni, il cui disegno progettuale è allegato al contratto, deriverebbe la denominazione di «sala del suffitto», in uso fino al Settecento, quando il salone fu destinato a diventare la prima sede del teatro dell’Aquila. La copertura risulta terminata nel 1632 e forse questa fu la causa della dilazione dell’impresa decorativa.

Fin dal 23 dicembre 1627 il consiglio ne aveva affidato la realizzazione al pittore Giovan Battista Favorito che, a quella data, aveva già presentato il progetto. Il 30 maggio 1629 il pittore aveva portato a termine i disegni dal vero richiesti per contratto con le vedute dei castelli e poteva dare inizio ai lavori, ma l’opera ebbe una lunga gestazione dovuta presumibilmente alla contestuale ricostruzione del soffitto e benché il consiglio ne sollecitasse più volte il compimento, nel 1633 non si era ancora posto mano all’affresco.

Le ricerche da me compiute si chiudevano su questa data e mancano del pur necessario accertamento che l’impresa fosse stata davvero realizzata, ma l’odierna scoperta degli affreschi mi dà speranza che possano essere quelli di cui si parla.

Esempio di topografia encomiastica, il fregio a due ordini in cui le vedute dei castelli “ritratti dal naturale” dovevano essere rappresentati in base al loro grado sotto gli emblemi dello stemma fermano, l’aquila e le croci, campeggianti al centro del soffitto, legittimava il merito della città di aver mantenuto la giurisdizione, seppur soltanto amministrativa, su uno Stato riconosciuto dal governo di Roma, con un significato analogo agli affreschi che elencavano feudi e possedimenti gentilizi sulle pareti delle ville private e alle accurate topografie urbane della Biblioteca Vaticana e del Collegio Massimo, già a villa Peretti, che commemoravano la munificenza edificatoria di Sisto V.

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