Giustizia ecclesiastica e società nelle Marche in età moderna. Atti del convegno. Jesi 9 giugno 2017

Vincenzo Lavenia – Diego Pedrini, a cura di, Giustizia ecclesiastica e società nelle Marche in età moderna. Atti del convegno. Jesi 9 giugno 2017, Andrea Livi editore, Fermo 2018, 254 p., ISBN 9788879694148

Il fiorire degli studi sulla giustizia ecclesiastica nelle Marche è testimoniato dal numero crescente di pubblicazioni dedicate a questo tema e, in particolare, dagli atti del convegno tenuto a Jesi nel 2017: essi tracciano il bilancio delle indagini già svolte e stimolano nuove ricerche, ad esempio, sul rapporto tra le giurisdizioni religiose e laiche, sul dialogo tra le autorità centrali e periferiche, o sulle relazioni tra la Chiesa e la società civile, dopo il Concilio di Trento, spingendo lo sguardo fino al XVIII secolo.

L’attività dei tribunali, nel periodo in esame, si confronta con una società e con un ordinamento caratterizzati da un marcato particolarismo: a titolo esemplificativo, il diritto può variare a seconda dei luoghi, delle persone, del loro status e delle loro attività, così come le interpretazioni dei giudici e l’esecuzione delle sentenze, consentendo deroghe, laddove ritenuto opportuno, per ragioni pubbliche o private. «Questa visione liquida del diritto portava a conseguenze decisive sul modo di fare giustizia: non esisteva un territorio di giurisdizione o criteri precisi di competenza, ma solo un rapporto cangiante tra il giudice e colui che cercava giustizia. Le giurisdizioni potevano essere molteplici in un medesimo luogo; una città di età moderna poteva essere soggetta alla giurisdizione del re, delle autorità cittadine, dell’università, delle corporazioni, del Vescovo e così via; nonché una stessa persona poteva essere intitolata ad attivare gare giurisdizioni: in quanto chierico, in quanto membro dell’università, ecc.», rammenta Marco Cavarzere.

Inoltre le Marche appartengono allo Stato della Chiesa e costituiscono un osservatorio privilegiato per studiare le possibili relazioni tra la sfera temporale e spirituale, dal punto di vista politico, economico e giuridico. Anche dopo il tramonto dei principati vescovili in Europa, il Pontefice rimane Sovrano e i suoi giudici continuano ad operare, superando le tempeste della Rivoluzione francese e del Risorgimento. Il territorio marchigiano vive dunque una esperienza paradigmatica, nell’intreccio tra particolarismo e teocrazia, offrendo l’opportunità di una migliore conoscenza del diritto nella sua dimensione applicativa e quotidiana, attraverso gli archivi.

I numerosi contributi raccolti evidenziano, in tal modo, la progressiva affermazione della Curia romana rispetto ai poteri locali, approfondiscono il ruolo dell’Auditor Camerae o dell’Inquisizione e analizzano, per quest’ultima, la composizione del personale, dedicando attenzione all’attività dei tribunali locali, al rapporto con le comunità ebraiche e al raffronto con quanto avveniva in Abruzzo, rispetto alle Marche.

Il caso di Jesi è significativo in quanto la giustizia ecclesiastica, nel periodo tra il 1530 e il 1717, produce circa 1.000 fascicoli, documentando la competenza del Tribunale vescovile sui laici e sugli ecclesiastici, lo svolgimento dei processi, i loro costi e i possibili esiti. I convenuti – rilevano Diego Pedrini e Lucia Dubbini – sono 657 uomini, 177 donne, 201 ecclesiastici, 20 coppie e 1 bambino, mentre gli illeciti vengono classificati per materia, non senza difficoltà, dato anche l’intreccio tra l’ambito civile, penale e canonico: i reati sessuali comprendono l’adulterio, la bigamia, il concubinato, la fornicazione, l’incesto, il lenocinio, la prostituzione, la sodomia e lo stupro (427 casi), i crimini violenti includono l’aggressione (ma anche, secondo questa ricostruzione, la bestemmia), la materia patrimoniale è composta da appropriazioni indebite, furti, danni, taglio di alberi, truffe e usure (79 casi), mentre l’ambito canonico (più latamente definito ecclesiastico) annovera questioni relative all’abbandono dell’abito o al diritto d’asilo, al segreto confessionale e alla mancata registrazione di matrimoni. A partire dal 1620 l’attività del Tribunale rallenta e si concentra sui religiosi o sulla materia familiare: particolarità interessante, poiché consente nuovi itinerari e confronti (ad esempio con Fermo, dove il Tribunale arcivescovile continua a svolgere, fino all’Unità d’Italia, una attività di controllo estesa).

La curia episcopale di Fano, nel 1611, viene a conoscenza che un canonico tiene condotte immorali, grazie alla testimonianza di un contadino: quest’ultimo commenta, seccamente, che «il menar ragazzi et puttane ho che sia delitto et non cosa da sacerdote».

A Ripatransone, nel 1685, un rappresentante dell’Inquisizione è reo di ingiurie ai danni degli abitanti e delle autorità locali, nonché di «haver ingravidato una povera honorata vedova, che per haverla promise sposarla e poi gli mancò di fede». La patente rilasciata al familiare del Santo Offizio impedisce al Vescovo di perseguire gli illeciti commessi.

Nel 1737 Sant’Angelo in Vado è sconvolta dal caso di un religioso suicida: il defunto si è impiccato, dopo aver dato segni di alienazione mentale. La malattia offre una possibile scusante e consente la tumulazione della salma nella Cattedrale, per volontà del Vescovo, ponendo le coscienze di fronte alla questione se sia scandaloso rifiutare la sepoltura, come sostengono alcuni, o se sia peggio autorizzarla, come affermano altri. Le scelte dei sostenitori dei due schieramenti ne rivelano la mentalità, offrendo elementi di riflessione anche ai lettori non specialisti, interessati a conoscere meglio la società marchigiana e la sua storia.

Gli atti del convegno di Jesi ricostruiscono dunque «un universo di vicende delittuose e di risposte istituzionali che, nell’ambito di osservazione scelto, gli Autori hanno avuto la costanza di studiare a tappeto, la fortuna di sondare per primi e la capacità di analizzare in modo comparato; sapendo poi trasmettere» l’emozione «di scoperte inattese, di casi singolari, dell’identificazione di comportamenti socialmente ripetuti» o delle soluzioni adottate dai tribunali diocesani, in merito a reati, a superstizioni o a «vicende comunque ritenute socialmente scandalose». Esse rappresentano una nuova opportunità per conoscere le radici del rapporto tra la religione, l’etica e il diritto, dal Concilio tridentino sino ai giorni nostri.

Giulio Rufo Clerici

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