Giulia Braschi Buonaccorsi. Vita, epoca e posterità

La vicenda biografica di Donna Giulia dei duchi Braschi Onesti (Roma 1793 – ivi 1846), a nostro avviso meritevole di essere approfondita e divulgata, è rimasta nascosta nelle pieghe della storia per lunghissimo tempo. I rari testi che citano il suo nome la ricordano per essere stata nipote di papa Pio VI Braschi (1717-1799) e moglie del conte Bonaccorso Buonaccorsi (1787-1856), nobile romano coscritto e patrizio maceratese. Non che l’appartenenza, di nascita e matrimonio, a due famiglie di tale rinomanza sia da sminuire, ma certo la copiosa documentazione (soprattutto di carattere epistolare-amministrativo) che la riguarda, giacente presso il Fondo Bonaccorsi dell’Archivio di Stato di Macerata, ha richiesto di essere portata alla luce.

Presso il citato Archivio si possono rinvenire, disperse in buste catalogate agli indici più disparati, varie carte riferite a Donna Giulia. Non per consistenza, ma per importanza, citiamo: a) il suo Elogio funebre manoscritto (d’ora in avanti Manoscritto) lasciato anonimo dall’autore, elaborato verosimilmente nello stesso anno di morte della Braschi; b) documentazione epistolare: diverse centinaia di lettere per lo più di carattere amministrativo ricevute dalla duchessa negli anni che vanno dal 1828 al 1841, più un paio di altre brevi ma fondamentali missive da lei vergate; c) contratti e atti stipulati dai Buonaccorsi durante la prima metà dell’Ottocento; d) libri contabili; e) ultimo ma non meno importante, un Prospetto dell’amministrazione steso nel 1824 dall’avvocato Paolo Ravioli, delegato dal cardinale Agostino Rivarola alla gestione degli affari familiari di casa Buonaccorsi.

La vicenda umana che emerge da tali documenti è, per lunghi tratti, sorprendente. Il fasto e lo splendore della Roma di fine Settecento, e la magnificenza dell’alta società romana nel periodo napoleonico, non sono che una parentesi nella vita di Giulia Braschi la quale, da contessa Buonaccorsi, si trovò a fronteggiare difficoltà enormi e a ridurre sé stessa e le proprie abitudini a una doverosa sobrietà. Da una ostentata grandezza a una meno vistosa, ma vantaggiosa, modestia. In altri termini, da Roma alle Marche.

La famiglia di origine

Pio VI, al secolo Giannangelo Braschi, apparteneva a una nobile famiglia cesenate di ascendenze piemontesi. Nonostante fosse l’ultimo maschio della sua schiatta, decise di intraprendere la carriera ecclesiastica. Dopo essere giunto a Roma alla corte di papa Benedetto XIV, del quale divenne segretario, fu nominato tesoriere generale da Clemente XIII. Ottenne la porpora cardinalizia da Clemente XIV nel 1773 e due anni dopo, il 15 febbraio 1775, ascese al soglio pontificio. I suoi ventiquattro anni di governo ne esaltarono le doti di pacato mediatore e di accorto legislatore, pure in un tempo in cui l’Europa e la Chiesa furono investite da turbolenze politiche e sociali senza precedenti. Di Braschi si ricorda l’avvio della gigantesca opera di bonifica delle paludi pontine e, nelle Marche, il definitivo impulso alla riedificazione della antica Servigliano, ricostruita ex novo quale Castel Clementino. Pio VI fu anche l’ultimo pontefice a dare avvio, volutamente e compiutamente, a politiche di vero nepotismo.

La stirpe dei Braschi, come si è detto, ebbe in Giannangelo il suo ultimo agnato. I suoi tre fratelli non avevano avuto discendenza. La sorella Giulia Francesca, andata in moglie al conte Girolamo Onesti di Cesena, ebbe cinque figli, tre femmine e due maschi. Il più piccolo di questi ultimi, Romualdo, nel 1778 venne convocato a Roma dallo zio per intraprendere la carriera ecclesiastica e nel 1786 ottenne la berretta cardinalizia. Anche il fratello maggiore di Romualdo, Luigi, si trasferì a Roma dove il 31 maggio 1781 sposò nella Cappella Sistina la nobile romana Costanza Falconieri. Entrambi i fratelli vennero, con sovrano motuproprio, adottati da papa Braschi ed anteposero il suo cognome a quello paterno.

Luigi Onesti, divenuto Luigi Braschi Onesti, fu in tutto favorito dal pontefice. Ottenne, per un canone insignificante, i beni già posseduti dai Gesuiti a Tivoli e, per la somma di 94.000 scudi, acquistò il marchesato di Nemi, poi elevato a ducato dal pontefice nel 1786. Il neo duca Braschi ebbe anche dallo zio la proprietà di tutti i latifondi recuperati alla palude nell’agro pontino. Nel 1791 infine venne costruito, su progetto dell’architetto Cosimo Morelli, il magnifico palazzo Braschi di piazza S. Pantaleo in Roma, nuova residenza di famiglia, per la cui edificazione fu speso un milione e mezzo di scudi. Costanza Falconieri ebbe dal Braschi diversi figli di cui due superstiti: Giulia, nata il 10 agosto 1793, e Pio, venuto alla luce nel 1804.

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