C. Baroni Urbani, M.L. De Andrade, Criminalità e giustizia nelle magistrature anconitane, dalla fine dell’antico regime all’Unità d’Italia (1797-1861), Andrea Livi editore, Fermo 2018, 350 pp., € 28,00, 9788879694227
Tra la fine del ’700 e la metà dell’800 lo Stato della Chiesa vive l’esperienza della Rivoluzione francese, del passaggio di Napoleone, della Restaurazione e del cambiamento della società, della cultura e dell’economia nel Risorgimento.
In questa prospettiva la raccolta e lo studio dei documenti sul diritto penale pontificio offre l’opportunità di studiare come i comportamenti illeciti siano sanzionabili, in un ordinamento di stampo confessionale, nel cuore d’Italia e d’Europa: tale ordinamento, se da un lato presenta caratteristiche peculiari, dall’altro risponde a domande universali di fronte ad un omicidio, ad un furto, ad una rissa, o a un reato politico. Anche oggi il confronto con altre fedi e altri popoli ripropone la necessità di comprendere cosa è lecito e cosa è sbagliato, cosa permettere o punire, nell’interesse di tutti.
Universale è l’aspirazione ad un diritto “giusto”, con l’applicazione di pene miti, ove possibile, poiché l’ordinamento pontificio mitiga la severità delle sanzioni con la discrezionalità e la clemenza, per redimere (noi diremmo recuperare) il condannato.
Peculiare, tra l’altro, è l’importanza dell’elemento morale e religioso nella produzione normativa, l’importanza del clero all’interno della magistratura e l’assenza di una enunciazione del principio di legalità dei reati: i comportamenti illeciti vengono così individuati di volta in volta, senza che sia espressamente garantita al suddito la preventiva conoscenza di ciò che è vietato. In proposito uno degli studiosi più significativi del diritto criminale pontificio, Giuseppe Giuliani, osserva che la pena colpisce le condotte dannose per la comunità: «la pubblicità adunque, ossia il pubblico scandalo» distingue i reati dalle azioni puramente riprovevoli (G. Giuliani, Istituzioni di diritto criminale dell’avv. G. Giuliani, prof. del suddetto ramo di giurisprudenza della Pontificia Università di Macerata, Macerata, 1836, II, p. 64).
Le ricerche compiute dagli Autori – con il patrocinio del Ministero per i beni e le attività culturali, in collaborazione con l’Archivio di Stato di Ancona – hanno raccolto un’ampia documentazione riguardante le ingiurie (“puzzona”, “scarpinello”, “avanzo dei francesi”, “giacobina”, “spia”, “ruffiana”, etc.), le calunnie, le “scandalose irriverenze, e proposizioni fatte in chiesa”, le satire contro il clero e i delitti compiuti dai religiosi, la bestemmia, il gioco d’azzardo, la “contravvenzione dell’Editto sulla santificazione delle Feste” (ad esempio, da parte di coloro che lavorano la domenica, o non assistono alla Messa), la rapina e il furto sacrilego, la Lesa Maestà, gli atti osceni, l’adulterio, i rapporti sessuali fuori dal matrimonio, la violenza anche ai danni di minori, ogni genere di danneggiamento e di minaccia, etc., offrendo una immagine vivida (e a volte cruda) della delinquenza dell’epoca. Secondo gli Autori, «uno solo dei delitti considerati in questo studio non è più considerato un delitto dalla legislatura italiana contemporanea: l’omosessualità» (p. 9): la tesi in esame, per la sua natura suggestiva, può essere interpretata in senso lato, proponendo un paragone tra il diritto pontificio (senza il principio di legalità dei reati) e italiano (con il principio di legalità dei reati), in una prospettiva di continuità storica, alla luce della lenta evoluzione della nostra mentalità e del ceto forense. Basti pensare che solo in anni recenti siamo giunti alla dichiarazione di incostituzionalità dei reati di adulterio (1968-1969) o di bestemmia (1995), quest’ultima poi interamente depenalizzata (1999).
Il materiale esaminato dagli autori viene riprodotto in numerose foto, di grande interesse: è rara la possibilità di vedere come gli inquirenti rilevavano le impronte delle scarpe, o estraevano i proiettili dal corpo della vittima, nello Stato pontificio, agli albori della scienza investigativa moderna. Questi esperimenti sono vicini nel tempo alla pubblicazione di opere che divulgano le nuove metodologie della polizia, come nel caso di Edgar Allan Poe e di uno dei suoi personaggi, Auguste Dupin (1841).
I documenti raccolti nel volume sono interessanti anche per ricostruire la storia, l’economia e la società marchigiana: un mondo racchiuso tra gli Appennini e il mare, dove l’agricoltura e la pesca offrono i principali mezzi di sostentamento, la popolazione vive in piccoli centri abitati e il dialetto è parlato nella vita di ogni giorno. Contadini, artigiani, commercianti, professionisti e sacerdoti sono i protagonisti delle vicende narrate, assumendo di volta in volta il ruolo di vittime, imputati o condannati, all’interno dei fascicoli processuali.
Nel riscoprire alcuni aspetti meno noti dell’800, questo libro ci accompagna a conoscere meglio la realtà quotidiana della Chiesa e del suo Stato, alla luce di un interesse sempre maggiore per il diritto penale pontificio: un diritto tutt’altro che antico, e che si rivolge alla coscienza di ognuno di noi.
Giulio Rufo Clerici