Comunità di castello: Lapedona nella seconda metà del ’500

castello lapedona

Gli studiosi del Medioevo fermano concordano sull’importanza del fenomeno dell’incastellamento per la successiva storia del territorio fino ai giorni nostri. Lucio Tomei parla di «rivoluzione muta», Delio Pacini riconduce alla presenza di un gran numero di castra il «particolarismo» della Marca meridionale, mentre Francesco Pirani nota la precocità e l’intensità di tale tipo di insediamento in questa area rispetto al resto della regione.

Dal codice 1030, che contiene documenti relativi all’episcopato e alla città di Fermo tra il 977 e il 1266, risultano 150 castra che Pacini ha cercato di collocare sul territorio della contea o marca fermana: 29 tra il Potenza e il Chienti; 42 tra il Chienti e il Tenna; 41 tra il Tenna e l’Aso; 36 tra l’Aso e il Tronto e 2 a sud del Tronto. Se a questi si aggiungono una decina di castelli di proprietà dei farfensi ed altri eventualmente non nominati nei documenti si ha che tra XI e XIII secolo c’è un castello, mediamente, ogni 7-8 kmq. Pirani osserva inoltre che oltre il 70% dei centri fortificati marchigiani era ubicato entro i confini della diocesi fermana.

Se dai documenti possiamo ricavare alcuni dati quantitativi, assai poco sappiamo dell’origine di tali forme insediative. Dagli studi di Pacini sappiamo delle pievi e dei ministeria dell’antica diocesi di Fermo, dei possessi e delle chiese dei farfensi, dei fundi, delle curtes, delle villae del periodo longobardo e carolingio ma assai poco della «svolta radicale» della fine del X secolo quando «il castello (castrum) recinto di mura sia pur non sempre in muratura, diventa a poco a poco l’elemento essenziale dell’organizzazione territoriale, a volte anche il centro di un feudo o signoria rurale». Tomei vede protagonisti nella costruzione dei castelli i «domini contadini» ossia i signori locali per i quali tali strutture rappresentano oltre che uno strumento di difesa contro i nemici esterni la via normale per esercitare la signoria di banno (o potere giurisdizionale) non solo sui dipendenti ma su tutti gli abitanti. Tuttavia se «i signori che esercitavano il potere di banno erano risoluti a trarre il massimo profitto dalla protezione praticata sulle masse contadine, nel contempo trovavano forti ostacoli nella concorrenza di altri signori e la loro egemonia era continuamente minacciata dalle divisioni patrimoniali tra i vari rami della famiglia». Nel caso del vescovo e dei monasteri, poi, i conflitti si accentuavano a seguito del contrasto tra papato e autorità imperiale ai quali facevano rispettivamente riferimento le istituzioni ecclesiastiche locali.

Emerge da questi studi, comunque, l’importanza del ruolo svolto in questa fase dai vescovi di Fermo: essi per contrastare il potere dei signori locali ne favorirono l’inurbamento mentre per indebolire le abbazie promuovevano la formazione di comunantiae di sudditi, concessionari e piccoli proprietari nei possessi di queste ultime, per altro assai lontane come Farfa, Montecassino, Fonte Avellana, S. Pietro in Ferentillo, ecc. Da una parte quindi si forma in città una classe dirigente di nobili e funzionari che daranno vita agli inizi del XIII secolo al comune di Fermo e dall’altra sorgono liberi comuni «accomandati» allo stesso vescovo e quindi alla città, come nel caso di Civitanova, Macerata, Montegiorgio, Monterubbiano, Ripatransone, ecc.

Il comune di Fermo diviene ben presto il partner del vescovo nel governo del territorio. Nel 1211 esso ottiene da Ottone IV la piena giurisdizione sul litorale adriatico dai fiumi Potenza al Tronto mentre nel 1238 il vescovo Filippo affida ad esso il compito della difesa e del governo dei castelli dell’intera contea. Passano quindi sotto il diretto controllo di Fermo i castelli dei signori trasferitisi in città, quelli appartenenti al vescovo, altri datisi spontaneamente ed altri ancora acquistati o presi con la forza. Negli statuti della città, pervenutici nelle edizioni a stampa del XVI secolo, sono elencati 80 castra di proprietà fermana, 9 dei quali definiti maggiori, 18 medi e 53 minori. Rientrano nel territorio diocesano anche una quindicina di liberi comuni con statuti propri o terrae classificati nelle Costitutiones Aegidiane del 1357 come mediocres e parvae.

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