Nell’ambito delle celebrazioni per il 750° della nascita di Francesco Stabili noto come Cecco d’Ascoli1, promosse nel corso del 2019 dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Ascoli Piceno, l’Archivio di Stato ha allestito nella sua sede dal 31 maggio al 10 settembre una mostra documentaria, volta ad evidenziare sia il contesto storico-socio-politico-religioso della città all’epoca di Cecco, sia testimonianze significative, varie per ambiti e tempi, riferibili a Cecco; sono queste le due partizioni di un percorso espositivo di eterogeneo interesse, che si sviluppa attraverso otto secoli, dal XIII al XX, e consente di venire a contatto con esemplari documentari variegati per supporti, forme grafiche e tipologie.
Ascoli al tempo di Cecco
Il periodo compreso tra la seconda metà del sec. XIII e la prima metà del sec. XIV è considerato dagli storici fondamentale per la crescita e il consolidamento del comune e del suo apparato politico-amministrativo, in particolare per la formazione del comune popolare, e per l’incremento delle attività mercantili e manifatturiere, come attestato dagli atti relativi alle principali magistrature nell’esercizio delle loro competenze, fra le quali si afferma il ruolo del capitano del popolo, e dal riconoscimento ufficiale della floridezza commerciale della città da parte di papa Giovanni XXII, che nel 1323 ritenne opportuna la concessione di un porto2. Tra i due secoli si attuò anche l’ampliamento dell’espansione del comune, che venne allargando sempre più la giurisdizione e il controllo del territorio, procedendo all’acquisizione dei castelli limitrofi per la «costruzione del contado»3, attraverso modalità diverse di assoggettamento: concessione della cittadinanza, come nel caso di Appignano nel 12914; atti di sottomissione delle «terre raccomandate» legati all’impegno di offrire il palio annuale per la festa del patrono, come nel caso di Arquata nel 12555; acquisto da parte del comune egemone, come nel caso di Castorano nel 12836. La seconda metà del ’200 costituisce una fase significativa anche dal punto di vista religioso e monastico: oltre ai crescenti prestigio e potere economico acquisiti dalle badesse del monastero di Sant’Angelo Magno, beneficiarie di protezioni papali ed imperiali fin dal sec. XII, sono attestati gli insediamenti in città di Francescani, Agostiniani e Domenicani, e l’istituzione del Terz’Ordine Francescano con l’enunciazione della «forma vitae» cui conformarsi con lettera di grazia del 1289 emanata dall’ascolano Niccolò IV7, il cui pontificato dal 1288 al 1292 riservò al comune di Ascoli speciale attenzione e indubbi benefici, con ripetuti interventi di diretta tutela e di garanzia delle sue istituzioni e prerogative territoriali; tra i due secoli sono attestate anche le forme originarie dell’attività della confraternita di Santa Maria della Carità, detta della Scopa, sia nelle pratiche religioso-devozionali della «Disciplina», sia nell’impegno caritativo-assistenziale dell’ospedale, attuato nella dimensione più spontaneistica ed autentica di accoglienza di poveri e di malati.
Cecco d’Ascoli
La attestazioni archivistiche dirette su Cecco sono difficilmente reperibili sia per l’attività svolta prevalentemente fuori Ascoli, sia per la perdita di gran parte della documentazione comunale anteriore al sec. XV; quindi si è concentrata l’attenzione e svolto nuove ricerche su testimonianze collegabili alla figura di Cecco e su alcune tracce della sua vita e della sua fama locale, di varia epoca e varia tematica, concrete e persistenti fino ad oggi nell’ambito cittadino.
La famiglia Stabili: sulla base dei dati rilevati da precedenti studiosi, in particolare da Giuseppe Bartocci nel 19698, è stata effettuata una ricognizione delle pergamene del monastero di Sant’Angelo Magno, ed enucleate le attestazioni del patronimico «Stabilis» del sec. XIII, che presentano una valenza significativa per la presenza in città all’epoca di eventuali membri della famiglia di Cecco, per lo più vassalli delle monache. Un rilievo particolare è da attribuire ad un documento comunale del 16 settembre 12969, l’unico in cui è menzionato il chierico «Franciscus Stabilis», destinatario di istituzione e investitura vescovile di chiericato e prebendato di due chiese di Castorano, ritenuto con sufficiente fondamento verosimile testimonianza del ruolo svolto da Cecco nel contesto amministrativo-spirituale della diocesi ascolana, e conferma del legame stretto e filiale con la sua città di origine espresso più volte da Cecco nell’Acerba10.
Testimonianze letterarie: un inedito codice del sec. XV rinvenuto nell’archivio notarile di Ascoli contiene la trascrizione di due lettere parodiche, in lingua latina, tradizionalmente attribuite a Cecco d’Ascoli, finora attestate solo in altri due codici in Italia, recentemente individuate e studiate da Valter Laudadio, che le ritiene testimonianza della poliedricità di interessi di Cecco, rispetto alla sua nota produzione in volgare a carattere scientifico11; parafrasando il linguaggio formale e giuridico dei documenti dell’epoca, in tono leggero e umoristico, Cecco dialoga con gli «amici denari e fiorini», esaltandone con esempi efficaci e paradossali il ruolo determinante nella vita umana: «vos diligo et peramo sicut animam mei cordis», dichiara nella prima Cecco, constatando come «villani et rustici atque vani per vos sapientes et honorabiles reputantur, et sunt hodie cum principibus collocati», ritenendoli capaci di produrre «mirabilia et miracula infinita», tanto che per loro effetto i cechi vedono, i sordi odono, gli zoppi camminano, ed infine implora «amore vestre celsitudinis» di prestargli la loro opera; nella seconda lettera i denari e fiorini rispondono «dilecto filio peramabili Cicco de Asculo», confermando ed accentuando le sue argomentazioni, fino ad affermare: «sub nostra dominatione habemus mundi omnium nationes», e tutto avviene tramite loro, senza i quali «factum est nihil».
La casa di Cecco: la localizzazione della dimora di Cecco a porta Romana nell’attuale «piazza di Cecco», così denominata fin dal 1810, è stata effettuata sulla base di due atti notarili, che testimoniano a distanza di appena due secoli dalla morte, a metà del ’500, un’acquisita e generalizzata attribuzione, tale da identificare con il suo nome l’edificio e recepirlo anche nel rigore del formalismo giuridico dei rogiti: un atto del 4 luglio 1544 recava la datazione topica «actum Asculi in plano Porte Romane ante domum que dicitur la casa de Ciccho d’Asculo», fornendo un dato oggettivo validato dal notaio12; il 13 gennaio 1548 veniva stipulato il contratto di acquisto di una casa sita a Porta Romana, confinante con la casa «que dicitur de Ciccho de Ascoli»13, a conferma di quanto tale denominazione, espressa in volgare, rispecchiasse un abituale diffuso dato di riferimento in città. Si è proceduto ad ulteriori ricerche archivistiche, che hanno fatto emergere indicazioni inedite circa l’effettiva presenza ed attribuzione della casa all’inizio dell’800, e la sua demolizione nel 1845, grazie alla collazione ed alla convergenza di fonti cronachistiche e di fonti archivistiche: il Catasto nel 1818 e nel 1830 registra la proprietà di una casa a Porta Romana14, che trova corrispondenza nella mappa della città del 1819, ma risulta mancante nella mappa del 187315; era infatti avvenuta la demolizione deliberata il 15 settembre 1845 dal Consiglio Comunale «di una casa nel piazzale di Porta Romana»16, in ottemperanza al «Piano di esecuzione dei lavori», in cui si dichiarava che «a fianco del piazzale esiste una casa, che dicono appartenesse alla famiglia Stabili che piace ricordare per ossequio di quel Cecco; acquistata del Comune sarà demolita a maggior decoro del piazzale, ottenendosi anche con ciò l’immediato prospetto della chiesa della Icona che ora si nasconde a largo della detta casa»17; un ulteriore supporto a tale attribuzione è fornito dalla cronaca di Ascoli che nel settembre dello stesso anno segnalava le accese proteste dei «rivoltosi ascolani» contro le autorità cittadine, in quanto si riteneva che la «piccola casa» demolita fosse «l’abitazione del celebre Cecco d’Ascoli»18.
Il monumento a Cecco: l’annosa e travagliata vicenda della realizzazione del monumento a Cecco, che si erge attualmente in città in piazza Matteotti, tradizionalmente conosciuta attraverso i resoconti dei giornali e dalla memoria orale, è stata ricostruita nelle sue fasi salienti attraverso documentazione archivistica inedita: l’iniziativa fu avviata dalla già nota delibera consiliare del 13 settembre 1864, che approvava la proposta di «Erezione di un monumento di onore alla memoria di Cecco d’Ascoli» per dare da parte della patria «pubblici segni di onore al sapiente e sventurato suo concittadino», recependo «il desiderio rappresentato da molti cittadini», ritenendo «essere opera eminente di civiltà onorare la memoria di quei grandi che per altezza d’ingegno e per merito di dottrina prepararono ed affrettarono la luce di quel giorno, che svegliò l’Italia dal sonno di lunghi anni», constatando «che la fama di sua straordinaria scienza dura ancora così viva negl’italiani da non sembrar meraviglia che Firenze, Bologna ed altre illustri città se ne gareggiassero il possesso, ed egli ebbe forza a sollevarsi di tanto sopra il suo secolo, quanto gli fu necessario, perché l’ignoranza de’ tempi, l’invidia degli uomini, e la stessa sua superiorità gli accendessero il rogo»19; si manifestano così con evidenza il sentito apprezzamento per Cecco e la diffusa consapevolezza della sua rilevanza intellettuale, oggetto di condivisione cittadina al di là delle fazioni, come dimostra la votazione all’unanimità dei consiglieri, animati da tale slancio ed entusiasmo da «alzarsi in piedi» per esprimere più apertamente «soddisfazione e plauso». Tuttavia, nonostante l’immediata nomina di una commissione di dodici membri incaricati di definire luogo e modalità di realizzazione, il progetto si bloccò e fu portato a compimento solo nel 1919, ostacolato per più di mezzo secolo dalle dispute tra clericali ed anticlericali sorte all’epoca in città; certamente acceso doveva essere infatti il dibattito socio-politico circa le accuse di eresia a Cecco, di cui è indice eloquente un carteggio della Prefettura, con la richiesta al Prefetto di Padova di verifica, poi di esito negativo, della presenza nel 1306 di Cecco come insegnante della locale Università, a seguito di allontanamento per scomunica dall’Archiginnasio di Bologna20. In tale contesto sfavorevole si riuscì finalmente a rendere il dovuto onore a Cecco grazie ad un’iniziativa maturata in terra straniera: nel Consiglio comunale del 14 giugno 1919 il sindaco riferiva che a New York si era costituito un comitato coloniale, presieduto dall’ascolano conte Roberto Fiocca Novi, per offrire «un monumento in bronzo al grande poeta e martire Francesco Stabili», opera dello scultore fiorentino Edoardo Cammilli, che necessitava della costruzione del basamento per la sua prossima collocazione in città, in conformità ai disegni redatti dall’ingegnere Riccardo Passacantando già pervenuti al Comune, prontamente approvata con lo stanziamento della relativa spesa21. La fase conclusiva del progetto è documentata anche da un carteggio inedito, da cui emergono valutazioni significative sulla figura di Cecco e sul ruolo storico-culturale a lui riconosciuto da autorevoli personalità sia locali che nazionali: il 25 febbraio 1918 da New York Edoardo Cammilli scriveva all’artista ascolano e direttore della Pinacoteca Riccardo Gabrielli, fautore del progetto, che interpellato sul bozzetto del monumento, affermava con devozione di identificarsi in Cecco «perché ascolano», e di «vederlo e sentirlo», sostenendo che «Cecco fu un precursore della scienza, delle lettere e fervente sostenitore della tesi antidogmatica»; ne ampliava quindi con toni efficaci ed oggettivi la dimensione e la valenza intellettuale, ritenendo che «non ha il raggio ripercusore nel solo paese natio, ma si estende al mondo all’umanità», sentendolo «per il suo martirio in forma spirituale energica, piena di sacrifizio e di abnegazione, un Cristo delle sue idee, intendendo innalzargli un monumento «sulle più alte rotte dell’idealismo»22.
È evidente come l’iniziativa realizzata dall’Archivio costituisca un’esperienza esemplare di utilizzo della peculiarità delle fonti archivistiche, che pur non offrendo una narrazione continuativa e strutturata di eventi, pongono però a contatto diretto con le opinioni realmente espresse dalle autorità e dai cittadini, con i dati di fatto restituiti nel loro effettivo svolgersi, con le persone nel momento stesso del loro agire23.