Antonio Salvi, Iscrizioni medievali di Fermo e del Fermano

Antonio Salvi, Iscrizioni medievali di Fermo e del Fermano, Andrea Livi editore, Fermo 2018, 320 pp., € 28,00, 9788879694186

Il libro si pone nel solco delle feconde ricerche epigrafiche che l’autore svolge ormai da molti anni nelle Marche centro-meridionali con metodo sicuro e con acribìa interpretativa. Si tratta di un libro di epigrafia, beninteso, con i suoi arditi tecnicismi e con quella severa ecdotica che si confà al tipo peculiare di fonti che sono le scritture esposte e monumentali. Eppure, nella sua impeccabile indagine sistematica e nei suoi ricchi apparati critici, il libro non è soltanto uno strumento – preziosissimo, del resto – per gli specialisti di una disciplina, l’epigrafia, che può annoverare pochi eletti cultori. Le scritture, descritte nella forma e trascritte nel testo – come vuole la migliore tradizione ecdotica – sono finemente contestualmente sul piano storico e costituiscono perciò anche per il lettore curioso un ricco puzzle nel quale si ricompone, a partire dal dato grafico, la storia tutta intera. L’autore ha infatti la capacità di trasformare ogni scrittura esposta e perfino ogni suo lacerto, che pregiudizialmente saremmo inclini a ritenere muto o quasi, in testimonianze eloquenti e profondamente immerse nel flusso della storia. Tale forza comunicativa delle epigrafi palesa, per converso, quanto possa essere parziale filtrare lo sguardo sul passato soltanto attraverso le fonti scritte custodite negli archivi, poiché talora le scritture esposte possono testimoniare in pochi segni grafici quanto non può fare centinaia di carte. Inoltre, le epigrafi spesse volte hanno il vantaggio di conservarsi nello stesso luogo per il quale furono confezionate e dunque di dialogare con il contesto architettonico e spaziale nel quale sono inserite.

Il libro squaderna, attraverso l’esame critico di oltre duecento testi, gli snodi più importanti della storia di Fermo e dell’area fermana dall’alto medioevo fino al Quattrocento. Si va infatti dalla celebre epigrafe funeraria di Falerone, che tramanda per l’anno 770 l’esistenza di un duca longobardo della città di Fermo di nome Tasbuno (unica attestazione di questo tipo, che va dunque a collocarsi proprio negli ultimi anni del regno longobardo), alle scritture del monastero benedettino dei Santi Ruffino e Vitale presso Amandola, a quelli più tardi dei farfensi insediati a Santa Vittoria in Matenano. Le iscrizioni visibili nei portali e quelle custodite nelle chiese cittadine di Fermo fanno sicuramente la parte del leone dal punto di vista quantitativo. Ma non mancano neppure le scritture poste sui muri esterni di edifici, più volte rimaneggiati. Così, un’epigrafe in caratteri gotici, nella parete sud-orientale dell’episcopio, attesta che nel 1391 il vescovo Antonio de Vetulis decise di dare avvio alla costruzione nell’area inferiore di piazza S. Martino di un palazzo destinato a ospitare la residenza del vescovo, fino ad allora dislocata sul Girfalco presso la Cattedrale. Nella massiccia torre che affianca la chiesa di S. Agostino, invece, un’iscrizione in caratteri gotici esalta un episodio ricordato con profondo orgoglio nella memoria fermana: la distruzione del porto di Ascoli operata da Gentile da Mogliano, signore della città, nella primavera del 1348. Il testo ricorda che le due grosse pietre su cui corre l’iscrizione vennero sottratte dalle fortificazioni dello scalo ascolano e poste nel tempio agostiniano come tributo d’onore.

Non meno interessanti sono le epigrafi che testimoniano le vicende del potere civile. Una su tutte: l’iscrizione in eleganti versi ritmici risalente al 1238 (ora conservata nei depositi dell’Antiquarium comunale, in attesa di valorizzazione), attesta che in quell’anno venne portato a termine il palazzo comunale, le cui fondamenta erano state poste due anni prima. Il testo dell’iscrizione fu dettato da un personaggio, Arlottino, che si dichiara cittadino di Reggio Emilia: si tratta di un funzionario giunto a Fermo al seguito di uno dei tre podestà della stessa città emiliana che si susseguirono in quel torno di anni a capo dell’amministrazione comunale nella città del Girfalco. Il testo dell’iscrizione resta una delle testimonianze più eloquenti dell’innesto in quegli anni della cultura podestarile caratteristica delle città padane. Si tratta di un’epigrafe destinata dunque a celebrare i fasti del governo comunale, nel periodo della sua straordinaria affermazione. E che dire invece di quella pietra tombale rinvenuta nel giardino di Villa Vitali, nella quale si legge il nome di Mercenario da Monteverde, il tiranno che si insignorì di Fermo per dieci anni (1330-1340) e che fu ucciso dopo un tumulto popolare, forse fomentato dalla curia pontificia, e consegnato alla damnatio memoriae, vietando la sepoltura del corpo nella città? Luoghi, scritture e intenzioni si saldano dunque per dare vita a significazioni che il passato restituisce per frammenti. L’analisi sistematica e impeccabile condotta dall’autore di questo libro contribuisce allora in modo potente a ricomporre tali frammenti e a fornirci strumenti utili per la comprensione storica.

Spread the love